D'Ambrogio Novella 2000 n. 48 2021

Spettacolo

Alla ricerca di… Ezio Bosso con l’omaggio di Elena D’Ambrogio

Redazione | 18 Novembre 2021

L’omaggio della scrittrice Elena D’Ambrogio al musicista Ezio Bosso, prematuramente scomparso per una grave malattia: ecco L’ultima nota

Porte e stanze

Le Dodici Stanze sono quelle che possono accogliere una vita nei suoi passaggi da un momento a un altro, dove si può sognare, amare, piangere, comprendere il dolore, conoscere la felicità. Tutto racchiuso in Dodici Stanze, se è questo il limite che ti proponi, se questo è ciò che la tua esistenza ti concede.

Dodici è un numero magico. Dodici gli apostoli, dodici i segni zodiacali, dodici le fatiche di Ercole e il numero dei titani e così via…

Come dodici erano “Le dodici porte” del racconto antico (forse persiano, forse arabo, forse solo il percorso di una fiaba), che evocavano solide muraglie di cinta a protezione di città, leggendarie o reali, come la mitica Gerusalemme che ancora oggi di porte ne conserva otto.

Dodici Stanze, quelle narrate da Ezio. Non Porte. Una scelta dolorosamente consapevole, perché dalle porte si entra e si esce a seconda delle intenzioni di chi le affronta, mentre le Stanze prescindono dalla volontà di chi le vive.

Un nuovo libro, una nuova emozione. Non esiste numero di pubblicazioni che possa rendere meno entusiasmante ciascuno di questi momenti. E questo è il momento di un’opera davvero speciale: L’ultima nota – Cairo Editore. Speciale perché non è un romanzo, non sono poesie, non è una biografia. È un omaggio che ho voluto fare ad una persona straordinaria: Ezio Bosso.

La stesura di questo libro è stato il progetto più complesso e difficile della mia carriera di scrittrice.

Un libro su Ezio

Non era facile tentare quest’impresa senza minimamente sfiorare l’ambito personale, intimo e famigliare del protagonista. Così, in punta di piedi, ho scelto di lasciarmi andare a qualsiasi emozione scatenasse in me l’ascolto della sua musica.

Ho ripercorso, in maniera quasi ossessiva, le sue “dodici stanze” per entrare in quel mondo tanto profondo che ha lasciato tasselli indelebili in ciascuno abbia vissuto il mondo del Maestro.

Non ho la presunzione di accendere una luce su chi già splendeva radioso. Ma ho solo voluto dire che quella luce riflette ancora potente, perché l’uomo Ezio Bosso ha saputo rendere semplice parlarsi con le parole e con la musica. Prima di tutto come persone – come ricorda nella prefazione Carlo Conti. E come sottolinea nella postfazione Guido Barosio, definendolo il ragazzo di Torino che frequentava la Curva Maratona.

Non potevo raccontare la vita di Ezio Bosso, lo ha già fatto lui e nella misura in cui ha ritenuto di parlare di se stesso. Fatto da terzi, nella fattispecie dalla sottoscritta, avrebbe potuto essere diverso dalle sue intenzioni, qualunque esse fossero. Di lui ho voluto raccontare la sua arte, il suo essere personaggio, il suo pensiero così come a me è arrivato, come è rimasto impresso in chi lo ha in qualche forma vissuto.

L’ho incontrato una sola volta, pertanto non ho un’esperienza periodica a cui fare riferimento. Ma Ezio Bosso faceva musica, quindi di lui arrivava ogni espressione del suo essere. Del resto, rendere omaggio a qualcuno cos’è se non il racconto di ciò che questa persona lascia di sé! Quest’omaggio intendo offrirlo ripercorrendo la crescita dell’uomo Ezio, che diventa musicista e direttore d’orchestra anche attraverso i racconti di chi invece lo ha vissuto e frequentato negli ultimi cinque anni: Francesco Mazzonetto, mio amico ma soprattutto vicino al Maestro.

Ho pensato a lui perché è un giovane musicista molto talentuoso, che vivendo anch’egli di musica poteva fornirmi quelle sfumature perfettamente calzanti. Le condividevano, sapevano esprimersi attraverso il linguaggio della musica, che è più vicino a quello del cuore rispetto alla parola.

“Lui era musica”

Il mio non è un racconto ma una descrizione di quel travaglio che resta, di sensazioni che rimangono dentro tanto da far maturare sentimenti che non pensavi di provare e che diventano una strada per rendere omaggio a qualcuno.

Perché mi sono accinta a tanto? Perché era geniale, perché si era costruito un gran successo, per le sue caratteristiche che tanto ci hanno commosso? No, ho deciso di scrivergli un omaggio perché sapeva spiazzare il chiasso, l’ineleganza, i luoghi comuni.

Era disarmante. Sorridendo portava avanti concetti di una profondità sbalorditiva. Ha vissuto in un oltre che era tutt’altro che vanità. Il suo podio era quello della semplicità, della spontaneità, di un’umanità di cui tanto parliamo perché ne esiste poca. Era affascinante sentirlo parlare.

Certo che creava empatia. Aveva amore per la sua musica, ma lui era musica. La sua esperienza di vita, che avrebbe distrutto molti, ha saputo capovolgerla in modo quasi mistico. Non lo ha deprivato della parte migliore che aveva da offrire di sé. Anzi, gli ha aperto un mondo che ha saputo esplorare, penetrandolo e facendolo proprio.

Il corpo che lo aveva tradito è diventato poi il suo strumento di rivalsa.

L’incontro con Ezio Bosso

L’ho incontrato una sola volta. Ed è successo quello che è un po’ successo a tutti quando lo abbiamo conosciuto nell’ospitata a Sanremo. Io ero per lui una persona qualunque, lui è diventato per me una nuova stanza, una scoperta, una di quelle cose che ti colpiscono al punto tale da lasciarne traccia.

Non è solo l’entusiasmo e l’euforia, l’emozione di un concerto che non finisce perché le canzoni continuerai ad ascoltarle e a canticchiarle. È proprio stato un mattoncino che ha edificato qualcosa di importante. Come quando capisci che qualcosa opera in te un cambiamento. È l’inizio di quello che rimane dopo. Questo è il vero motivo che, sull’onda del dispiacere per la scomparsa del Maestro, mi ha portato a provare a “perdermi” per vedere se ne sarebbe venuto fuori qualcosa di bello da dedicargli.

E mi sono persa in ciò che raccontava in ogni forma… “La musica sussurra e ci svela la vita”, rende ubiquo chi la scrive o la canta o la dirige. È la trascrizione della natura, forse anche di quella umana.

Tolstoj diceva che “la musica è la stenografia delle emozioni”, in cui perdersi per imparare a seguire. Perdere pregiudizi, paure, dolore. “La musica come la vita si può solo fare in un modo: insieme”. Che bel mondo!

È entrato nei nostri cuori anche in poco tempo. Questo ci fa comprendere quanto sia immediato essere conquistati da quella genuina bellezza che è a colori, mentre tutto sembra in bianco e nero. Quanto non sia necessaria una studiata presentazione di una persona che splende spontaneamente, come una gemma preziosa e come ci racconta con enfasi e un tono di malinconia Carlo Conti nella prefazione al libro, che ha voluto concedermi e che riporto fedelmente.

L’ultima nota, quella che non esiste, che non viviamo e che nessuno potrà mai raccontarci è il mio CIAO a Ezio Bosso. È quell’anello di congiunzione tra la fine e un nuovo inizio, è il cambiamento che fa parte della vita, quella vita esplosiva di Ezio Bosso, fermata anzitempo in un giorno Mariano di poco più di un anno fa.

Era un ragazzo ancora giovane, di anagrafica e di viso. Quarantotto anni. Forse il sorriso aiuta a sembrare sempre giovani, anche nei ricordi, che ci porteranno a immaginarlo sempre e a emularne l’idea di “divertirsi come pazzi”, in una standing ovation senza fine.

a cura di Elena D’Ambrogio