L’aumento dei prezzi alimentari tra il 2021 e il 2025 evidenzia una vulnerabilità strutturale del bilancio domestico e mette a rischio il potere d’acquisto dei cittadini

L’impennata dei beni di prima necessità

Secondo l’ultimo report dell’Istat sull’evoluzione dei prezzi al consumo in Italia, le famiglie stanno affrontando un aumento dei costi che colpisce in modo particolarmente pesante i prodotti alimentari. Tra ottobre 2021 e ottobre 2025, i prezzi dei generi alimentari hanno registrato un incremento del 24,9%, superando di gran lunga la crescita complessiva dell’indice dei prezzi al consumo, fermo al 17,3% nello stesso periodo. Questo scostamento, pari a quasi otto punti percentuali, riflette un deterioramento significativo del potere d’acquisto, soprattutto per le famiglie con redditi più bassi.

Lo choc energetico come fattore trainante

Il principale fattore alla base di questa impennata inflazionistica tra il 2022 e il 2023 è stato senza dubbio il forte aumento dei prezzi dell’energia. L’energia incide su tutte le fasi della produzione alimentare: dai campi agricoli, dove serve carburante per macchinari e fertilizzanti spesso dipendenti dal gas, alla trasformazione industriale, fino al trasporto e alla conservazione dei prodotti nei negozi. L’incremento dei costi di elettricità e gas si è trasferito rapidamente lungo tutta la filiera, generando un aumento strutturale dei prezzi dei prodotti alimentari, sia lavorati che freschi.

Nonostante la progressiva riduzione dei prezzi energetici, i costi del cibo non sono tornati ai livelli precedenti. Questo fenomeno deriva da molteplici cause economiche, tra cui l’effetto del “cost-push”, ossia la pressione inflazionistica generata dall’aumento dei costi non energetici, come salari, imballaggi e materie prime agricole globali, influenzate da eventi geopolitici e climatici.

Conseguenze economiche e sociali

L’aumento continuo dei prezzi alimentari produce impatti significativi sull’economia e sulla società. Questa dinamica sostiene l’inflazione di base, ostacolando gli sforzi della Banca Centrale nel mantenere la stabilità dei prezzi e limitando la competitività delle imprese nel settore alimentare.

Le famiglie percepiscono subito gli effetti di questa tendenza: la spesa per il cibo rappresenta una quota rigida del budget domestico e non può essere facilmente ridotta. L’incremento dei costi dei generi di prima necessità limita quindi le risorse disponibili per altri consumi, come abbigliamento, intrattenimento, tempo libero e servizi vari, rallentando potenzialmente la ripresa dei consumi e, di conseguenza, la crescita economica complessiva.

Questa differenza tra inflazione generale e quella alimentare segnala una crescente disuguaglianza sociale: l’aumento del costo del carrello della spesa pesa in modo molto più rilevante sui redditi più bassi, che destinano una parte maggiore del loro reddito ai beni essenziali.

A cura di Dario Lessa
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