Dare a un politico del “Cetto La Qualunque” non è diffamazione
La Cassazione apre un varco nel diritto di critica politica e linguaggio satirico Nel lessico della politica italiana, dove ironia,…
La Cassazione apre un varco nel diritto di critica politica e linguaggio satirico
Nel lessico della politica italiana, dove ironia, iperboli e sarcasmo scorrono spesso più veloci dei comunicati stampa, la Corte di Cassazione ha tracciato un confine che farà discutere. Con una sentenza di nove pagine, la Quinta sezione penale ha stabilito che definire un sindaco “Cetto La Qualunque” non costituisce diffamazione, ma rientra pienamente nel diritto di critica. Una decisione che segna un punto importante nel rapporto, sempre fragile, tra istituzioni e cittadini, soprattutto in un’epoca in cui la comunicazione pubblica scivola facilmente dai social alle aule dei tribunali.
La vicenda nasce nel 2020, quando un cittadino abruzzese, irritato per alcune scelte amministrative, invia una mail piuttosto pepata al primo cittadino del suo comune, paragonandolo al celebre personaggio interpretato da Antonio Albanese: il politico caotico, opportunista e coloritamente borderline che da anni incarna, in forma caricaturale, i vizi più radicati della classe dirigente italiana. Il sindaco non l’ha presa con filosofia e ha sporto querela per diffamazione. Da quel momento si è aperta una battaglia giudiziaria che, sorprendentemente, ha portato il caso fino in Cassazione.
Satira politica
La Suprema Corte, però, ha ribaltato la prospettiva. Secondo i giudici, quel paragone non avrebbe superato il limite della continenza, né mirato a ledere l’onore dell’amministratore. Era piuttosto un giudizio critico, espresso nei toni – certamente forti – tipici della satira politica e del dissenso civile. Una scelta argomentativa che inquadra la battuta nell’alveo della libertà di espressione, tutelata anche quando utilizza figure simboliche o riferimenti culturali per sottolineare disapprovazione, malcontento, o perfino indignazione.
Il personaggio di Cetto La Qualunque, del resto, è diventato negli anni un’etichetta pop, una scorciatoia narrativa per descrivere una certa idea di politica che promette miracoli improbabili e governabilità fantasiosa. Un nome che viaggia tra meme, vignette e talk show, spesso usato per spiegare – con un sorriso amaro – derive amministrative e scelte discutibili. Per questo motivo, secondo la Cassazione, il paragone appartiene più all’area del giudizio politico che a quella dell’insulto personale.
Da questa sentenza emergono anche alcuni retroscena mai del tutto sopiti nei corridoi giudiziari. Tra gli addetti ai lavori circola la voce che il caso fosse stato considerato, sin dall’inizio, eccessivamente “leggero” per raggiungere i piani alti della giustizia. Eppure, si racconta che proprio la crescente sensibilità dei sindaci verso le offese online abbia trasformato l’episodio in un terreno simbolico: un banco di prova per capire fin dove possa spingersi il cittadino nella critica alle istituzioni. Il pronunciamento della Cassazione fornisce ora una bussola più chiara.
Il confine tra satira e dileggio
In un Paese dove il confine tra satira e dileggio è spesso sottile, la decisione afferma che non tutto ciò che irrita, offende o punge è automaticamente diffamatorio. Le democrazie, ricordano i giudici, si reggono anche su espressioni scomode, graffianti, e su un linguaggio che sappia smuovere, provocare, persino disturbare il potere. Purché resti ancorato alla critica e non alla pura aggressione.
Resta da capire come reagiranno gli amministratori locali, spesso esposti a un flusso continuo di commenti, mail, post e messaggi che oscillano dal civile al feroce. Alcuni sindaci temono che la sentenza possa “liberare” paragoni caustici e persino infelici. Altri, invece, la considerano un utile richiamo a distinguere l’attacco personale dalla voce del dissenso democratico.
Quello che è certo è che la Cassazione, con una scelta netta e argomentata, ha ridisegnato un piccolo ma significativo pezzo di rapporto tra cittadini e istituzioni. Dire a un sindaco “Cetto La Qualunque” non è più reato.
Leggi anche: Crollo della nascite, la previsione nefasta di Musk: “L’Italia sta scomparendo“