Me lo ripeteva spesso Ornella Vanoni. «Quand’ero giovane le ragazze bene di Milano come me, che ero figlia di un imprenditore, prima si sposavano e poi si facevano l’amante». Un binario di sincerità che ha trasmesso ai nipoti: «Da lei abbiamo ereditato il suo modo di pensare libero da schemi predefiniti»

Il ricordo di Ornella Vanoni

Un paio di mesi fa, ho incontrato per caso Ornella Vanoni che scendeva da un taxi. “Devo andare a un evento del Piccolo Teatro“, mi disse. Non aveva l’assistente, visto il passo malfermo, l’accompagnai abbracciandola per sostenerla negli ultimi 200 metri, perché il Piccolo Teatro di via Rovello si trova in una zona pedonale.

Dieci giorni fa sono tornato al Piccolo Teatro e, anche questa volta, c’era Ornella Vanoni, o meglio, c’era il suo corpo, perché proprio nella platea del teatro dove lei aveva debuttato da ragazza, prima come attrice e poi come cantante delle canzoni della mala scritte e inventate da Giorgio Strehler, che allora era il suo compagno, era stata allestita la sua camera ardente.

A dieci giorni di distanza dalla sua morte non mi è mai capitato di sentire una persona così presente, tutti continuano a parlarne e mi piace ricordare qui quello che è stata Ornella Vanoni, al di là dell’immensa interprete, perché lei era soprattutto un’interprete, non solo una cantante, del personaggio, dell’attrice, della donna he riempiva i rotocalchi con la sua vita. 

Ornella stata una donna che, fin dalla metà degli anni ‘50, aveva scelto la libertà come binario della sua vita: «Sono stata una pazza? Forse ho solo scelto di vivere libera pagando per questo il prezzo della solitudine». Negli anni 50 era una scelta quasi estrema: allora scegliere la libertà era un atto rivoluzionario per una ragazza.

“Avevo 19 anni, in quegli anni le ragazze bene di Milano come me,che ero figlia di un imprenditore, prima si sposavano e poi si facevano l’amante. Io invece avevo fatto esattamente il contrario: mi ero innamorata di Giorgio Strehler, una passione travolgente, fisica, intellettuale, e solo dopo mi sono sposata, con Giorgio che mi faceva delle telefonate quasi minatorie fino al momento del sì. Non poteva accettare che io avessi deciso di sposare Lucio Ardenzi, il grande impresario, che sarebbe diventato il papà di mio figlio Cristiano”.

L’amore per i figli e i nipoti

Al Piccolo ho incontrato Cristiano: “È stato immenso tutto l’amore che ho visto e sentito al Piccolo Teatro per mia madre. Lei amava tanto Milano, l’ha amata e cantata”, mi ha detto.

Mi ricordo che, quando ero ragazzo e intervistavo Ornella Vanoni, mi parlava sempre di suo figlio Cristiano: “Gli ho comprato una casa perché ormai è adulto, è in via San Marco, a pochi passi da me, anche se la sua casa principale rimane la mia. Se vuole mangiare bene, viene da me, perché io so cucinare molto bene”, mi diceva Ornella.

Per rendere meno amaro quel giorno agli amici e alla famiglia nell’omaggio che Milano ha voluto dare a Ornella Vanoni, il personale del Piccolo Cafè & restaurant, che è gestito dal gruppo Ladisa, si è messo a disposizione. Ed è proprio al bar del Piccolo che la famiglia di Ornella, il figlio e i due nipoti CamillaMatteo. E ci siamo abbandonati ai ricordi, quando nelle mie interviste chiedevo ad Ornella del suo lato più segreto, quello di mamma, e poi di nonna.

Matteo per lei era un toccasana: “È un ragazzo generoso e solare, molto intelligente, che lavora tanto. Fa un lavoro normale, in un’agenzia di pubblicità. Quando sento la voce di mio nipote è come se avessi preso uno Xanax, calma tutto”, diceva.

Poi per Camilla proprio sbarellava: “Sempre in movimento, curiosa, inquieta. Mi sembra Corto Maltese. A 18 anni mi dice… ‘nonna, se mi paghi il biglietto per la Nuova Zelanda io partirei’. Ed è stata via quattro anni. Ogni tanto torna, poi riparte per fare nuove esperienze”.

Dico a Camilla“Tua nonna era così orgogliosa di te. Mi raccontava che facevi la chef sulle barche e che eri bravissima, ma essendo tu una ecologista convinta, avevi deciso di lavorare solo sulle barche a vela”.
Più che una chef sembra una rapper, con capelli biondi e lunghi a dread, ma la sua dolcezza è tutt’altro che rap: “È stato un mondo per conoscere il mondo, per viaggiare, per assaporare quel senso di libertà che mia nonna Ornella amava“, mi ha confessato Camilla e il ricordo delle sue parole mi fa capire meglio Ornella.

“In questo piacere della libertà, io ho preso tanto da lei, ed è un’eredità cui tengo molto. Questo sentimento ci ha unite in maniera profonda. Mi mancherà, anche se sarà sempre presente nella mia vita, perché certe persone non se ne vanno mai del tutto“.

La lezione preziosa della Vanoni

Come ho ripetuto molte volte in questi giorni, Ornella Vanoni è stata veramente un simbolo di libertà. Non ha mai cercato di essere popolare, non ha mai cercato il consenso per se stessa. Ha sempre detto quello che pensava e ha sempre fatto scelte scollate da qualsiasi opportunismo.

“Ho cercato la libertà soprattutto in amore. Forse l’unica volta in cui ho trascurato questa mia esigenza è stato quando sposai mio marito Lucio Ardenzi. Avrei voluto scappare, non lo feci e forse fu un errore, ma una volta a un certo punto della vita ci si sposava anche controvoglia”. Una considerazione a volte già sentita, ma solo lei cinquant’anni fa aveva il coraggio di dirlo.

Aveva poi amato Gino Paoli, anche lui allora completamente fuori di testa, tanto che un giorno ha avuto pure l’idea di spararsi un colpo al cuore. “Sopravvisse e io andai a trovarlo in ospedale, di nascosto, di notte, per non farmi vedere dai giornalisti. Ci eravamo tanto amati, ma poi tutto è andato com’è andato”, mi ricordava sempre Ornella, che però continuava ad andare a Genova Nervi, dove abita Gino Paoli: “Vado ospite da lui, e sono molto amica anche della moglie. E ci vado anche perché a Genova c’è un ottimo dentista che cura sia me sia Gino, e che ha un’associazione benefica che organizza ogni anno un concerto. Noi cantiamo e lui ci cura i denti”, mi confessava Ornella.

Come sappiamo, a 91 anni, è morta serenamente, chiedendo un gelato alla sua assistente familiare, mentre era seduta in poltrona. L’assistente è tornata con il gelato in una coppa e l’ha trovata come addormentata. Una morte dolce, come avrebbe voluto Ornella, anche se credo che avrebbe voluto vivere ancora. Mi diceva: “Questo è un periodo piuttosto felice della mia vita. Amo mio figlio, i miei due nipoti che sono una luce meravigliosa, e mi piace andare ospite da Fabio Fazio a Che Tempo Che Fa, e quasi mi dispiace quando le trasmissioni si interrompono, perché poi la domenica non so che cosa fare, mentre mi diverto ad andare da lui. E non mi costa una grande fatica. Già, fatica, perché tu non hai idea quanto mi costi fare una serata”.

Ornella per sempre

L’ultima volta che si esibì in un concerto fu al Teatro Arcimboldi di Milano, un teatro che Ornella un giorno a detto che non le sarebbe dispiaciuto se lo dicassero a lei, com’ è successo al Lirico che oggi si chiama Teatro Giorgio Gaber. All’Arcimboldi fece due serate meravigliose dove erano venuti un sacco di amici a cantare. “Ma è stata veramente un’impresa arrivare fino alla fine dei due concerti, perché la voce c’era”, mi diceva, “ma la fatica è stata infinita. Anche se Giorgio Armani mi aveva fatto degli abiti molto comodi e avevo deciso di cantare a piedi nudi, perché mi dava maggiore stabilità”.

Quando la incontravo, soprattutto negli ultimi periodi, io ero terrorizzato che cadesse. Stavo attento come un giocatore di rugby pronto ad agguantare la palla per non essere colto impreparato di fronte a un’eventuale caduta.

Su Instagram vedo che, ancora oggi, girano meme realizzati con l’intelligenza artificiale: Ornella Vanoni che arriva camminando su una scala verso il cancello del Paradiso, dove l’aspettano Beppe Vessicchio e Pippo Baudo.

E mi piace pensare che a questo trio eccezionale sarebbe arrivato poi Giorgio Armani per sistemarle il tailleur, i pantaloni che le aveva disegnato. Spero che sia davvero così. Sono passati solo pochi giorni dalla sua scomparsa eppure, come ho detto, non mi è mai capitato di sentire una persona così presente. Nei bar di Milano, quando mi riconoscono, mi chiedono ancora di lei e mi risulta difficile parlarne come se non ci fosse più. Per noi, Ornella Vanoni era come Giuse, il monumento di Giuseppe Verdi, qualcosa che rimarrà sempre.

Ornella è stata un monumento vivente, idealmente, e poi non è mai morta: gli artisti, quelli veri, rimangono, e le sue canzoni continueranno ad accarezzarci il cuore.

CREDITI FOTO: Te-Co / IPA

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