a cura di Leonardo D’Erasmo (@avvleonardoavvocatoderasmo.it)

Nella precedente rubrica si è affrontato il tema del revenge porn, di rilevanza non solo sociale ma anche giuridica avendo importanti riflessi di carattere penale.

Nel compiere la disamina sulla questione della c.d. “vendetta porno” si è fatto riferimento a casi di cronaca e alla rilevanza che gli stessi hanno avuto anche da un punto di vista normativo.

L’allarme sociale scaturito da alcuni casi di fama nazionale, infatti, ha senz’altro velocizzato il processo di integrazione del codice penale da parte del nostro legislatore, che ha raggiunto il suo apice con l’entrata in vigore del già richiamato Codice Rosso nel 2019.

La vicenda di Guendalina Tavassi

Tra i casi di cronaca citati si era fatto cenno all’episodio che ha colpito Guendalina Tavassi nell’anno 2020, di cui mi sono occupato personalmente e che sarà di seguito esaminato in modo più approfondito.

L’ex concorrente del Grande Fratello, più nello specifico, è stata vittima, unitamente al suo ex marito Umberto D’Aponte, di hackeraggio a seguito del quale hanno iniziato a circolare in rete alcuni contenuti intimi dalla stessa precedentemente realizzati per il marito.

Parrebbe infatti che qualche malintenzionato sia riuscito ad accedere al suo iCloud, e successivamente a diffondere foto e video privati appartenenti alla coppia, nonostante la Tavassi e suo marito avessero salvato tali contenuti presso una cartella nascosta.

Intervistata, la Sig.ra Tavassi raccontava di come un tecnico informatico al quale si era rivolta le avesse spiegato che il suo iCloud era stato collegato a un computer che aveva avuto accesso al suo telefono, e che lei e suo marito utilizzavano lo stesso iCloud sul quale si salvavano in automatico tutti i contenuti multimediali presenti sui loro computer, telefoni e quant’altro.

Tra i vari accessi al sistema iCloud della coppia il tecnico aveva rinvenuto anche quello di un server sconosciuto ai due.

Tempo prima (un paio di mesi circa) Guendalina Tavassi riceveva una serie di mail in cui le si chiedeva di fare accesso al suo account, inserendo i suoi dati personali per poter aumentare il proprio spazio di archiviazione disponibile sul sistema.

Solo successivamente la vittima si rendeva conto che, proprio attraverso quegli accessi effettuati, le si estorcevano le password con l’inganno, e che quindi le mail ricevute nascondevano una condotta di phishing – di cui pure si è argomentato nelle antecedenti rubriche.

È probabile, pertanto, che proprio a seguito di questo episodio i contenuti intimi siano stati estorti alla vittima.

Dal revenge porn alla sextortion

Nel precedente articolo si sono già avvertiti della pericolosità della presenza di foto e video intimi sui propri dispositivi, e dei rischi che possono derivare dalla realizzazione degli stessi proprio a causa della circostanza per cui questi contenuti, anche se eliminati dai telefoni o altri apparecchi, rimangono comunque salvati su iCloud, previsto proprio per il salvataggio e la conservazione di dati.

Il caso in esame ne è la dimostrazione. La coppia infatti, a seguito dell’accesso di terzi sull’iCloud che la Tavassi e il D’Aponte avevano in comune, ha subito notevoli danni ed è stata costretta a denunciare il furto digitale subito. Dapprima presso il Commissariato di Roma Capitale, per poi darne notizia anche sui loro canali social, per tentare di fermare – o quantomeno contenere – il processo di diffusione dei contenuti intimi, nonché nel tentativo di scovare il colpevole di una condotta così pregiudizievole per il pudore e la dignità di chi ne è vittima.

Tuttavia, i filmati a sfondo sessuale sono comunque stati oggetto di una notevole e implacabile diffusione, tanto da essere diventati virali sui social network.

I video infatti si sono moltiplicati all’interno di chat private, su piattaforme come Telegram e WhatsApp. E alcuni di loro sono addirittura stati caricati e pubblicati sui più frequentati siti di video porno.

Al momento dei fatti, peraltro, Guendalina Tavassi raccontava anche di come dopo la diffusione del materiale sessualmente esplicito fosse stata contattata da persone che le chiedevano dei soldi – o addirittura followers – in cambio della rimozione del video.

Questa ulteriore triste circostanza, attinente al caso in esame, fa strada alla disamina di un’ulteriore condotta criminosa che si affianca a quella del revenge porn tra i comportamenti più rischiosi e pericolosi da porre in essere in rete, che originano un forte allarme sociale.

Il riferimento è al c.d. reato di sextortion, la cui traduzione letterale è “sesso ed estorsione”, originandosi il termine dalla crasi di queste due parole inglesi.

Che cos’è la sextortion

Si tratta, anche in questa ipotesi, di un ricatto sessuale che si sviluppa sui social network o, più in generale, sulla rete internet.

Tuttavia, tale fattispecie non va confusa con il revenge porn che – come anticipato nella rubrica che precede quella odierna – consiste nella pubblicazione di un contenuto pornografico per vendetta nei confronti di una persona, oppure per ragioni legate a un sentimento d’invidia.

La sextortion, invece, rappresenta una vera e propria estorsione, dal momento che consiste nella richiesta di una somma di denaro finalizzata a evitare la pubblicazione di materiali a sfondo sessuale in cui la vittima è facilmente riconoscibile.

Nel caso del revenge porn, non è sottesa alla condotta alcuna richiesta di denaro o minaccia di pubblicazione, avvenendo quest’ultima nell’immediatezza e senza che la persona offesa possa in alcun modo evitarla, nemmeno cedendo a un ricatto.

Negli ultimi anni aumenta sempre più il numero di questi reati, e le vittime preferite sono per lo più soggetti minori di età.

Le vittime più fragili

Secondo l’indagine avanzata dalla Polizia Postale, gli ultimi dati relativi al fenomeno descritto sono spaventosi. L’età media delle vittime è da individuarsi tra i 15 e i 17 anni, ma è possibile riscontrare anche casi in cui sono coinvolti bambini ancora più piccoli.

È facile infatti ottenere video o immagini intimi soprattutto da quei ragazzi che si approcciano alle prime esperienze sessuali, per poi ricattarli e far sì che i contenuti facciano il giro del web.

In questi casi, peraltro, accade che spesso le vittime si vergognino di informare i genitori del ricatto subito, così non si provvede a effettuare apposite denunce e gli estorsori del Web agiscono del tutto indisturbati.

Come si subisce la sextortion

Ma come avviene, nello specifico, questo ricatto?

Il malintenzionato, dopo avere ottenuto il materiale a sfondo sessuale, inizia a ricattare la vittima in esso ritratta.

Non sempre i contenuti si ottengono con il consenso della vittima. Il più delle volte, al contrario, sono rubati attraverso modalità simili a quella che connota il caso di Guendalina Tavassi. Poi, successivamente, la persona rappresentata nelle immagini o nei video a contenuto sessuale è contattata dall’estorsore.

Quest’ultimo prima di tutto dimostra alla vittima di essere in possesso di materiale che lede la sua dignità e il suo senso del pudore. In seguito inizia ad avanzare richieste di denaro. Precisando che solo al momento dell’ottenimento delle stesse il materiale compromettente sarà cancellato, così da evitarne la diffusione in Rete.

In questo modo l’estorsore ottiene un primo pagamento, e la vittima è convinta di essersi liberato del problema. Nella realtà dei fatti, tuttavia, la persona offesa è nuovamente ricontattata e costretta a ulteriori versamenti.

Proprio per questo motivo si auspica che le vittime di queste condotte non cedano neppure al pagamento di una prima somma di denaro, che convince l’estorsore della fragilità della sua vittima e della possibilità di ottenere ulteriore denaro senza tuttavia risolvere il problema.

L’importanza della denuncia

L’unico modo per fermare queste condotte criminose è quello di rivolgersi immediatamente alle autorità competenti e denunciare i fatti subiti.

Senza una denuncia è impossibile per le autorità venire a conoscenza di quanto avviene in Rete. A meno che la Polizia Postale non stia già effettuando controlli e indagini scaturite da episodi simili.

Nella denuncia è importante indicare non solo il nome dell’estorsore, ma anche tutti quei comportamenti che fanno pensare che la sua attività sia estorsiva.

Quindi, è fondamentale indicare come l’estorsore potrebbe essere venuto in possesso delle immagini, consegnare se necessario il computer o l’altro dispositivo su cui si è stati contattati, e fornire tutte le informazioni utili. Così da aiutare il più possibile le autorità nelle indagini.

Senz’altro, utile è contattare un avvocato che tuteli gli interessi della vittima. Ancor di più se si tratta di legale che ha esperienza in materia, e che si attiverà anche al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti.

A ogni modo, è sempre bene proteggere i propri dispositivi inserendo delle password di accesso e anche sistemi antivirus, nonché evitare di indicare sui social network il proprio numero di telefono.

È possibile peraltro proteggere i propri account social rendendoli privati, così da evitare tag su materiale pornografico e impedire anche che le proprie foto siano prelevate e fatte proprie da soggetti terzi.