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Domenica Live, Lemme, gli schiaffi. Avrei voluto farlo io.

Matteo Osso | 17 Maggio 2016

Domenica Live

Domenica pomeriggio piuttosto turbolenta per Barbara D’Urso, che -suo malgrado- si è vista dover intervenire a mo di bodyguard per […]

Domenica pomeriggio piuttosto turbolenta per Barbara D’Urso, che -suo malgrado- si è vista dover intervenire a mo di bodyguard per sedare una potenziale rissa che stava già prendendo ad opera di una coppia di quelle che il farmacista Alberico Lemme, autoproclamatosi dietologo dei Vip, chiama “ciccione”.
Il video è già diventato virale, tutti conosciamo la dinamica e tutti conosciamo le ragioni che hanno condotto le due signore a compiere ciò che buon senso dovrebbe indurci a non compiere mai.
Eppure, a mio parere, hanno fatto bene. Non solo, avrei voluto farlo io.
Il signor  Lemme certamente se ne farà un vanto, la sua cifra è da sempre quella delle provocazioni al limite dell’insulto, tutto nel nome di una verità che a lui appare dogmaticamente rivelata: le persone in sovrappeso, sono in sovrappeso.
Ottimo spirito di osservazione, signor Lemme. Ma registrare un dato scrupolosamente non basta, quando si ha a che fare con gli esseri umani. E’ la regola della buona educazione, che ci impone di insegnare ai più giovani a combattere il bullismo e che imporrebbe anche alle due signore chiamate in causa di non mettere le mani in faccia a nessuno, per quanto la provocazione possa essere grave. Ma poichè il primo a percorrere la strada del “niente regole” è stato proprio lui, allora giochiamo ad armi pari. E legittimi sono quegli schiaffoni.
Sarà forse vero che in alcuni casi il sistema di alimentazione messo a punto da questo signore ha funzionato. Personalmente ho almeno due amici che vi si sono avventurati e hanno anche ottenuto dei risultati, a prezzo di epiteti tutt’altro che cavallereschi, ma pur sempre risultati sono.
Ma il punto è un altro, e posso raccontarlo per averlo vissuto in prima persona. Chi vi scrive ha quarantuno anni, trentasei dei quali trascorsi a dieta. Sono stato un bambino grasso, infelice e deriso dai compagni di scuola; un adolescente bullizzato che passava notti intere davanti alla finestra aperta in pieno inverno (e vi assicuro che in Friuli l’inverno è una cosa seria) nella speranza di contrarre una qualsiasi forma di malanno per non dovere, il giorno successivo, patire l’umiliazione dell’ora di educazione fisica a scuola. Ho avuto rabbia e paura di parlarne anche in famiglia, dove tutta la soluzione al mio problema sembrava potersi riassumere in un “mangia meno”. Non è così. E non è giusto che così sia considerato. Se tutto si riducesse ad una banalissima scelta di comodo, come accendere o spegnere un interruttore, beh non esisterebbero ciccioni e non esisterebbero dietologi. Ma rapportarsi con il proprio corpo e con il cibo non è cosa da manuale. C’è di mezzo la genetica, la cultura, ma soprattutto c’è di mezzo il cuore. Quello che il signor Lemme sembrerebbe aver scelto di lasciare in un cassetto, quello che ti fa guardare il mondo con occhi per ciascuno diversi, e quello che ti guida -alle volte- sulla peggiore delle vie, in cerca di una soluzione che forse non c’è.
Ecco allora che il cibo diventa un amico e un nemico, un premio e una condanna, un rifugio e una prigione. In una parola una dipendenza.
Dire ad un obeso di mangiare di meno sarebbe come dire ad un fumatore dai polmoni gravemente compromessi di smettere di fumare tre pacchetti al giorno e limitarsi ad accendere una sigaretta a pranzo e una a cena, dare un tiro e poi buttarla via. O ad un alcolista di smettere, sì di bere, ma fare solo un sorso due volte al giorno. La follia. Perchè vivere completamente senza sigarette o senza alcol si può, ma completamente senza cibo si muore.
Ecco spiegata la difficoltà. Ecco spiegata la fisarmonica. Ecco spiegato l’inspiegabile, per chi ha la fortuna di non trovarsi in questa trappola.
Chi vi scrive le ha provate tutte: dall’ipnosi ai beveroni, dal digiuno alle anfetamine. E a quarant’anni si è sottoposto ad un intervento allo stomaco, serio e doloroso, difficile da decidere e complicato da gestire. Ma risolutivo. E soprattutto seguito da un’equipe medica composta da professionisti, loro sì, titolati per studiare il percorso migliore, che hanno compreso senza giudicare. Imponendo regole rigide ma motivandole. E soprattutto comportandosi con un rispetto e una delicatezza che hanno reso impossibile arrendersi alle loro indicazioni, inducendomi a seguirle senza discutere.
Forse che usando l’intelligenza si ottengono più risultati di quanti se ne ottengano facendo i bulli? O forse dietro un certo comportamento c’è la ricerca dell’esposizione e la consapevolezza che finchè ci saranno ciccioni ci saranno soldoni?