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House Party, parrocchia edition

Matteo Osso | 19 Dicembre 2016

Mi sento come Fantozzi un minuto prima di proferire la frase che lo ha collocato per sempre nelle pagine di […]

Mi sento come Fantozzi un minuto prima di proferire la frase che lo ha collocato per sempre nelle pagine di storia: “l’armata Potemkin è una ca**ta pazzesca”.
Un minuto prima, però, quando ancora non vi era certezza alcuna sull’esito della sortita, nonostante ci fosse nell’aria il vago sentore che tutti lo pensassero e nessuno si prendesse la briga di dirlo.
Ebbene, House Party, nella puntata di ieri -domenica 18 dicembre- ha suscitato lo stesso, inespresso e candido sentimento.
Se nella prima puntata il derby Parioli-Fiano Romano aveva espresso momenti di rarissimo umorismo, battute divertenti, timidi accenni di commozione, tutto sostenuto da un’ energia onesta e incontenibile frutto evidente di una vera amicizia, l’incontro Bellinzona – Pro Patria non ha avuto la medesima carica esplosiva.
Prendete una simpatica ragazza, famosa fin dal 1994, maritata illustrissimamente per ben due volte e felice mamma di diverse generazioni. Vestitela con una manica sì e una no, che fa moderno. Fatele fare ciò che in assoluto le riesce meglio (dopo la mamma, forse): condurre.
Prendete tre ragazzi, nati intorno al 1994, famosi in tutto il mondo e intrappolati nel personaggio dell’italiano-baffone-mandolino. Fategli fare ciò che in assoluto gli riesce meglio: cantare. Con un talento incontestabilmente raro e puro.
Poi mescolate i due ingredienti in parti uguali, condite con salsa di avanspettacolo alla napoletana, qualche gag riesumata dal cimitero degli anni ’80, un po’ di musica da karaoke, che fa moderno.
Fate fare a lei la parte della vecchia, a loro quella dei ragazzini. Rendetevi improvvisamente conto che quella vecchia non è lei, poi attendete.
Attendete che succeda qualcosa.
Attendete.
No! Non dormite. Attendete!
Niente. Morfeo, l’ha vinta lui.
L’ultimo ricordo lucido è di questi tre ragazzi vestiti da ultimo dell’anno a casa degli amici dei genitori, obbligati a cantare roba a caso che evidentemente detestano ma che altrettanto evidentemente tiene viva un’industria di cui sono vittime inconsapevoli: c’era più allegria in Marcellino Pane e Vino che nei loro sguardi di ventenni condannati a giocare ai grandi.
Ragazzi, siete bravi, giovani e -se vi permettessero di non vestirvi dal sarto di Daniele Piombi- pure belli. Ribellatevi.
Adesso tocca a me: novantadue minuti di applausi o licenziamento in tronco?