Il libro di Alessandro Daniele su papà Pino

Nelle sue canzoni, la più fedele autobiografia. Pino Daniele parlava al pubblico attraverso le sue opere, e lo diceva: “Vi racconto la mia storia”. Il figlio Alessandro ha voluto celebrare la vita del padre con il libro Tutto quello che mi ha dato emozione viene alla luce – edito da Rai Libri. Una sorta di percorso cronologico nel
quale vengono portate alla luce le varie tappe che hanno condotto il musicista a costruire se stesso.

L’autore non ritiene ci sia distinzione tra l’uomo e l’artista, anche se poi nel libro è ben evidenziato il momento in cui Pino incontra se stesso, la sua strada, la musica, la chitarra. E lo descrive in maniera da allineare sempre biografia e musica, il cui connubio ha prodotto la vera musica d’autore che ci ha fatto innamorare.

La prima parte del libro detta i prodromi della formazione dell’artista, che sfociano in una carrellata di melodie, espressioni del suo vissuto.

Il difficile rapporto di Pino, già da bambino, con i genitori, la successiva convivenza con le zie, con le quali non c’era un rapporto parentale ma di grande affezione, miete conseguenze che hanno influenzato la sua crescita e la sua formazione.

Da qui partono i temi musicali che più hanno incarnato il suo essere: la sua etnia, Napoli dai mille colori, il Mediterraneo, il blues americano, storie lontane, visioni future.

“Non so nemmeno io come è nato Pino Daniele, come è nato come autore. È successo lungo la strada, perché la strada è quella che ti prova, e lungo la strada mi sono accorto che io avevo qualcosa da dire”.

Sentiva una gran voglia di scrivere, di comunicare, anche se non ne conosceva il motivo. E lo ha fatto con concetti chiave che nel libro ne armonizzano il racconto.

Sopra tutto “il sentimento”, il suo accesso preferenziale per creare musica, tanto da sprigionarlo in maniera istintiva, ma talmente imponente da diventare poi anche una tecnica.

Attraverso gli accordi riusciva a trasmettere i diversi stati d’animo. La tavolozza di colori con la quale era composta una melodia raccontava ogni volta una storia appassionata.

La lingua e i live

Uno degli aspetti più straordinari di Pino Daniele è sicuramente il linguaggio.

“Canto e suono come parlo”, e i suoi brani facevano volare sempre ad alta quota, sia che fossero interpretati con espressioni più sublimi che con quelle più popolari. Anche i rudi intercalari erano opportunamente utilizzati per far arrivare tutta quella verità che era necessario buttar fuori dall’anima. Le parole dei testi acquisivano così un valore foneticamente potenziato, e anche ritmicamente amplificava il suo modo di pensare, di muoversi.

Se la musica era la sua passione, il live era la sua vita, ma nel 1990 il destino interviene a gamba tesa a cambiare gli orizzonti della sua carriera. Registrando Anna verrà, testo dedicato alla grande Anna Magnani e composto per essere la sigla dello show televisivo Fantastico condotto da Massimo Ranieri ma poi non utilizzato a tale scopo e quindi inserito nell’album Mascalzone latino, ha iniziato a sentire i sintomi di quella che sarebbe stata la sua croce.

Scopre infatti di avere seri problemi cardiaci, probabilmente per una malattia congenita. Operato d’urgenza, si trova nella condizione di dover sospendere qualsiasi attività. E lì parte il suo dramma.

Non potendosi più esibire, momento clou in cui dava se stesso, ha temuto fortemente che la sua vita artistica fosse compromessa brutalmente. I medici erano stati tassativi, con una perizia medica inappellabile, senza data di scadenza e divieto assoluto di calcare un palco.

Rigore rispettato da Pino per un paio d’anni. Poi, la coraggiosa scelta di imboccare la strada del ritorno. “Preferisco morire sul palco piuttosto che morire giorno per giorno”.

La ripartenza nonostante la malattia

Piano piano riparte. E lo fa alla sua maniera. Intanto, per celebrare il suo ritorno, la conquista della guarigione, sceglie la data 19 settembre 1992, che riconduce ad una precedente data fondamentale della sua vita. Il 19 settembre 1981, quando in Piazza del Plebiscito, a Napoli, davanti a duecentomila persone si tenne il concerto epocale che conclamò la sua popolarità. Stesso giorno, stesso mese portafortuna per dire: “Ce l’ho fatta!”.

Questo ben rappresenta la sua attitudine a non fermarsi davanti ai problemi, chiedendosi sempre: cosa posso fare per risolverli? Cosa posso fare per guarire?

Cercatore convinto di soluzioni, ce l’ha fatta a tornare a esibirsi e anche a governare un altro suo problema di salute legato alla vista. A volte sembrava che snobbasse le persone che incontrava, semplicemente perché era ipovedente. Anche sul palco era tutto organizzato con un gioco di luci, in maniera che potesse destreggiarsi senza essere guidato, sia per raggiungere la sua postazione canora che durante le esibizioni.

Anche da questo problema fisico ha saputo trarre un aspetto positivo. Avendo acquisito una sensibilità straordinaria a un certo punto ebbe quasi paura di guarire, temendo così di perdere quel dono tanto prezioso.

Pino Daniele e la popolarità

Il libro vuole essere dunque una proposta di ispirazioni per il lettore a non perdersi d’animo, a nutrire, anche nella tristezza e nello sconforto, quel luogo nascosto e impervio dove risiede la solitudine, arma importante per la ricerca delle soluzioni e in cui ritrovarsi.

Non so se l’indimenticabile Pino Daniele abbia trovato il modo di superare il grande disagio nei confronti della popolarità, con cui era in continuo conflitto. Curiosamente, tanto apprezzava il fatto di essere conosciuto e riconosciuto come musicista e amava la notorietà raggiunta, quanto mal tollerava la popolarità che lo metteva nella condizione di sentirsi trattato da “diverso”. Lo considerava un eccesso. Lui che si trascinava sull’onda delle emozioni, con canzoni che sembrano dei piccoli miracoli. Come se fossero sempre esistite, così come le cantava, talmente naturali da non riuscire a intravederne un percorso.

La freschezza e la spontaneità di raccontare qualsiasi cosa in modo da poterla vedere, vivere. Quasi da esserne influenzati, per i profondi messaggi che racchiudono.

Per tutto questo riteneva fosse sufficiente la notorietà. Cui rispondeva con una continua ricerca del cambiamento, che gli ha fatto incontrare i più famosi personaggi internazionali e che lo ha portato a una crescita professionale d’eccellenza. Al sodalizio artistico con Massimo Troisi, per il quale scrisse la canzone Quando colonna sonora dell’indimenticabile film Pensavo fosse amore e invece era un calesse.

Ha certamente sempre raggiunto il suo obiettivo di riuscire a diffondere ciò che aveva da dire. L’idea del libro nasce ad Alessandro che, oltre ad essere figlio di Pino Daniele, è stato suo collaboratore e confidente, per mettere sotto la giusta luce il tutt’uno che è stato suo papà: uomo e artista, un binomio imprescindibile.

In un’alternanza di vicissitudini legate alla radice di ogni brano e aneddoti di esperienza personale. Senza guardare dal buco della serratura, senza invadere il privato, il libro illumina le circostanze utili a testimonianza delle scelte di colui che ha incarnato il senso pieno della musica, che ha reso il suo dialetto una lingua comprensibile oltre oceano. Un libro dove ciascuno troverà il proprio Pino Daniele.

a cura di Elena D’Ambrogio