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Cara Terra mia

Matteo Osso | 6 Maggio 2016

Terremoto

Tutto avrei immaginato tranne che di prendere in prestito un verso di Albano per dare l’attacco ad un pezzo. Eppure oggi, […]

Tutto avrei immaginato tranne che di prendere in prestito un verso di Albano per dare l’attacco ad un pezzo. Eppure oggi, 6 maggio, sono queste le uniche parole che sembrano avere un senso.
Chi vi scrive, in via eccezionale quasi seriamente, è friulano. Una terra complicata, il Friuli: una specie di ingresso da oriente dove nei secoli tutti sono passati, hanno comandato quel tanto, hanno usato quello che gli serviva e poi se ne sono andati. Ecco perchè la natura vagamente diffidente del Furlan, che si sente sì italiano, ma parla e scrive nella lingua madre e guarda alla grande città con un misto di ammirazione e terrore; che ama crogiolarsi nelle bellezze di una terra che si stiracchia tra le Alpi e le spiagge, piena di cose da vedere troppo spesso completamente sconosciute. E che, diciamola tutta, non è l’essere più espansivo e caloroso sulla faccia della Terra…
E proprio di Terra parliamo oggi. La terra che quarant’anni fa esatti esatti ha tremato per un lunghissimo minuto, mietendo un migliaio di vittime e cancellando la faccia di molti paesi che non saranno mai più gli stessi.
Ero lì, quella sera. Bimbo, poco più di un anno, guardavo la Televisione in braccio a nonno. A cui evidentemente devo la vita, visto che di punto in bianco il buio, il rumore, la polvere, il caos si sono impadroniti di tutto, e la casa nella quale ci si sarebbe dovuti sentire al sicuro è diventata la prima, terribile, fonte di pericolo.
E’ caduta, la nostra casa. Non del tutto, ma quasi. Abbastanza da lasciarci senza tetto, al buio, isolati dal resto del mondo e senza una reale consapevolezza di ciò che era accaduto. Ma tutti vivi.
I miei ricordi naturalmente cominciano qualche tempo dopo e sono quelli di un bambino che giocava spensierato su cumuli di ghiaia ai lati delle strade non più e non ancora asfaltate. Che sfrecciava in bicicletta nel reticolo di viuzze disegnate dal villaggio di prefabbricati. Che guardava con curiosità quelle tante case aperte come quelle delle bambole, dove rimanevano evidenti i segni di vite vissute e ormai non più possibili. E tutto era da fare, e tutti facevano qualcosa.
Sono passati quarant’anni, vivo in una Milano che amo e chiamo “casa”, i ritorni saltuari in Friuli però non mancano di colpire l’occhio di quel bambino: nulla di quella devastazione, di quel disordine, nulla di quella disperazione esiste più. Tutto è ordinato e ricostruito, non senza difetti, ma fatto. Nessuno si è fermato davanti alla voracità della natura, che ogni tanto decide di riprendersi quello che sembrava averci regalato. Il terremoto del 1976 è stata l’occasione per fondare la Protezione Civile fino ad allora inesistente, per coinvolgere l’Esercito in operazioni di aiuto alla popolazione. E’ stato il terremoto delle prime dirette sulla televisione nazionale e anche quello dei tanti, tantissimi volontari che senza pensarci troppo si sono offerti in aiuto. Ai quali, per sempre, va il nostro grazie.
Ma è stato soprattutto la dimostrazione che si può fare.
Mandi, Friul.