Lapo Elkann tra gli impegni umanitari e l’amore per Joana Lemos
Lapo Elkann: l’impegno umanitario, le iniziative di beneficenza e il legame con Joana Lemos. L’intervista del direttore Roberto Alessi
Lapo Elkann e l’intervista di Roberto Alessi
Sono amico di Lapo Elkann da 15 anni. “Ci siamo conosciuti al bar del Bulgari, c’era anche Marta Marzotto“, mi dice, “Ti ho visto e ti sono venuto a salutare”. Un incontro fortuito, ma mi aveva colpito subito il suo carisma, che non nasce dalla fortuna di essere nipote di Gianni Agnelli (un uomo e un nome abbaglianti) e di Marella Caracciolo (una vera principessa di nascita e di stile), quello ce l’hai o non ce l’hai, è come nascere biondi o bruni. Poi di lui se ne è parlato, e tanto, e certe notizie hanno anche fatto soffrire chi gli voleva bene.
Ma una cosa è sicura: Lapo di bene ne ha fatto tanto, ma davvero tanto. Soprattutto in questo ultimo anno di pandemia. Ed è per questo che ho voluto incontrarlo.
Ma c’era da mettersi in coda: in questi giorni tutti gli chiedono un’intervista, e lui non ha sempre tempo. Ha accettato unicamente per il supporto che abbiamo dato da sempre ai progetti benefici di Fondazione Laps, la fondazione fondata e presieduta da Lapo, e che opera a livello internazionale.
In questo ultimo anno Laps ha raccolto 3,2 milioni di euro (tra contanti e beni di prima necessità, e sono tanti, credetemi) messi a disposizione delle famiglie fragili d’Italia, Portogallo, Israele e Spagna.
Ora sta creando una casa-famiglia a Madeira, l’isola portoghese, dove troveranno casa persone senza fissa dimora.
Intervista a Lapo Elkann
Lapo, perché sei partito dal Portogallo?
“Perché in Portogallo c’è stata una grande risposta, di infinita generosità, verso i nostri progetti, con donatori eccezionali. Donatori che hanno visto tra loro anche Cristiano Ronaldo, un uomo grande non solo come atleta”.
Una superstar della Juve, la tua squadra.
“Cristiano ha avuto una vita difficile, e non dimentica chi, come la sua famiglia, ha passato magari situazioni difficili, molto difficili. Oggi lo vedono nelle foto di Instagram e qualcuno lo critica con superficialità. Ma un libro non lo si giudica dalla copertina, va letto, capito, sfogliato. Cristiano è un uomo profondo, che sa accarezzare il cuore, a lui va il mio grazie per averci aiutato a realizzare qualcosa che va al di là della nostra quotidianità, come la prima casa Laps per famiglie”.
Nella tua quotidianità c’è anche un amore importante come quello per Joana Lemos, anche lei portoghese.
“Se in Portogallo abbiamo avuto risultati importanti in termini di numeri – è la campagna di beneficenza record nella storia del Paese – è merito suo. Ha un cuore enorme e ha creato un team di persone davvero eccezionali. Così, oltre alle due campagne, grazie a lei, alla sua dedizione e al suo cuore, siamo riusciti a creare in tempi rapidi anche il progetto della casa per famiglie in difficoltà a Madeira. E non ci fermiamo”.
Lapo, noi siamo italiani.
“E vuoi che me ne dimentichi? Ho la bandiera dell’Italia anche tatuata nel braccio. Anche qui abbiamo fatto tanto fin dalle prime ore dell’emergenza facendo arrivare da Nord a Sud mascherine e dispositivi di protezione. Poi le raccolte fondi di ‘Never Give Up’ e ‘È il nostro dovere’.
In Campania, la terra di origine di mia nonna, dove ci sono situazioni particolari, anche se in tutta Italia ci sono situazioni analoghe, abbiamo fatto ulteriori iniziative, come la donazione di pizze, riso e le magliette con ricavato in beneficenza. Continuiamo: sarà in Calabria che verrà creata la prima casa famiglia, e sarà a Crotone“.
Un rifugio per donne maltrattate
Per famiglie senza casa?
“No, apriremo una casa per donne che hanno vissuto la violenza sulla loro pelle. Molto spesso assistiamo a racconti di donne che vorrebbero fuggire da uomini violenti, cattivi, senza pietà. Ma dove potrebbero andare? Non sanno a chi appoggiarsi, a casa vivono l’inferno con mariti, compagni violenti, che rovinano loro la vita, a loro e ai loro figli, e per quelle donne e per quei bambini ci vogliamo impegnare e in tempi piuttosto brevi per non lasciarle sole”.
Certo, si fa presto dire: “denuncia, mandalo in galera”. Ma molte di loro non sanno poi come sfamare i loro bambini, vivono il ricatto economico e ingoiano per amore dei loro figli e fingono di non vedere i loro lividi, quelli sulla pelle e nell’anima.
“E poi immaginare come può vivere un bambino in quelle situazioni, cosa soffre. E proprio per quei bambini noi vogliamo poter dare un’alternativa alle loro madri, aiutando loro, aiuteremo le loro creature”.
Nel Vangelo secondo Matteo si legge: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Tu hai fatto tuo questo insegnamento.
“Io sono di religione ebrea, ma ogni religione mette al primo posto il prossimo. Un prossimo da amare, rispettare, nel segno della solidarietà che è alla base della mia fonazione Laps”.
Uno spartiacque verso la beneficenza
Da dove deriva la tua volontà di intensificare l’impegno a favore delle persone meno fortunate. C’è stato un episodio, uno spartiacque?
“Sì, ed è stato fortemente traumatico, ancora oggi mi faccio domande, l’angoscia rimane, perché di fronte all’ingiustizia del destino non possiamo dire che è andata così e girare pagina”.
Racconta.
“Era il 2016, e sono andato al carcere di Nisida. Nisida è una piccola isola, all’estrema propaggine della collina di Posillipo, a Napoli. E l’isola ospita l’Istituto Penale Minorile di Napoli. Ed è lì che ho incontrato un bambino di 11 anni ed è stato come un pugno nello stomaco. ‘Sono qui perché sono un killer, ho già ucciso sette persone’, mi ha raccontato. ‘La mia vita è finita, se esco di qui sono morto’.
Finito? Morto? A soli 11 anni quel bambino aveva già conosciuto il male assoluto sulla sua pelle. La camorra lo aveva obbligato ad entrare nei gironi più terribili dell’inferno. ‘Lapo, io morirò, io lo so già’. In un’età in cui altri vivono sogni, giochi, lui era senza prospettive, senza speranza”.
Senza speranza. È una storia che fa star male.
“Ero atterrito, sgomento. Vedere una vita, di soli 11 anni, già bruciata mi ha lasciato senza fiato. Sono uscito in strada, stavo malissimo, come se mi fossi affacciato su un oceano infinito di solitudine. Ricordo che appena uscito ho vomitato l’anima. Come è possibile che ci siano bambini che vivono così? Che non riescano a uscire dall’inferno in cui uomini senza scrupoli li avevano fatti precipitare?”.
Hai cercato di aiutare quel bambino?
“Non era facile, sono situazioni molto complicate. Così proprio quell’anno, e non ero solo, ho fondato la mia fondazione Laps”.
Lapo Elkann: fare del bene e farlo fare anche ad altri
Leggo sul sito di Laps che è nata “sull’idea che solo una Società e rapporti umani fondati sulla creatività, sul reciproco rispetto, e sulla solidarietà, possono generare un continuo miglioramento del benessere globale e delle singole persone. Occorre pertanto contrastare tutte le situazioni di ‘povertà educativa’”. Povertà educativa: sono due parole che riscontriamo in molte realtà, soprattutto tra i giovani.
“E quella povertà ostacola il formarsi di una personalità responsabile verso se stessi e verso gli altri, e ti allontana da quel senso di solidarietà che ci rende migliori. Però ti dico anche che ci sono molti, moltissimi giovani che si adoperano per il prossimo, che vanno oltre, che dimostrano un senso d’empatia verso gli altri impressionante. E con loro riusciamo a fare tanto e faremo ancora di più, giovani che vogliono curare il mondo che con loro guarirà”.
Il cuore va oltre.
“Il cuore è tutto. Le competenze sono basilari, certo. Sapere come organizzare una campagna di Laps, contattare le persone giuste, collaborative, interessate è importante, certo. Ma senza cuore e senza anima non si va da nessuna parte. E donare è altrettanto importante, d’altra parte l’amore è dare. Per questo ogni singolo euro che viene donato a Laps va direttamente a chi ne ha bisogno, ogni spesa, viene coperta interamente da me, non voglio che nulla di ciò che è donato venga disperso”.
Poco prima di natale hai donato 450 mila euro.
“E l’ho reso pubblico, e sono stato criticato”.
Le nonne dicevano: la generosità vuole il silenzio.
“Ma io l’ho reso pubblico e non certo per narcisismo, ma solo perché ho sperato (e non sono stato deluso) che altri seguissero il mio cammino. Il sentiero va mostrato e non c’è nulla che ti renda più felice di donare”.
Molti ti invidiano il rapporto che hai con i tuoi fratelli Jaki e Ginevra, li hai coinvolti in queste tue iniziative?
“I miei fratelli e io condividiamo tutto e lo facciamo in maniera disinvolta. Ci aiutiamo l’un l’altro. Ci sosteniamo, siamo unitissimi. Uniti dall’amore, che, ripeto, è l’unico modo per curare il mondo”.