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Manuel Agnelli parla di Sanremo: «Un carrozzone privo di contenuti. Ma anche un grande megafono promozionale…»

Maura Messina | 30 Gennaio 2017

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Manuel Agnelli, leader degli Afterhours (da quest’anno anche giudice di X Factor) in una recente intervista a Repubblica Robinson ha […]

Manuel Agnelli, leader degli Afterhours (da quest’anno anche giudice di X Factor) in una recente intervista a Repubblica Robinson ha raccontato della sua esperienza al Festival di Sanremo a cui ha partecipato con la sua band nel 2009: «Per quelli della mia generazione, nell’ambiente della cosiddetta musica alternativa, Sanremo era il demonio. (…) Eravamo lì a fare promozione a noi e a tutto un ambiente, il nostro, che si è sempre autoghettizzato ma che continuava a sembrarci sottovalutato, nei numeri e nella sostanza».

Per Agnelli il Festival è da anni un “megafono promozionale”: «Anzi il megafono. La cosa più potente a disposizione di tutti quelli che ne sanno approfittare».

Al tempo stesso, però, ha svelato qual è il suo pensiero riguardo al Sanremo: «E’ la rappresentazione di un’Italia che non ci piace e di un modo di fare spettacolo che svilisce qualsiasi tentativo di commistione con il mondo culturale. Non la controcultura della controcultura. Il niente. Che è molto più potente. Infatti abbiamo continuato tutti a guardarlo. Sanremo, come l’Italia, non si cambia. Bisognerebbe fare una rivoluzione ma sarebbe destabilizzante per tutti. Cambiarlo è come montare un paio di gambe lunghe su uno dei nani che accompagnano le ballerine e fare finta sia alto. Cambiarlo sarebbe inaccettabile per i farisei della cultura che dal Festival continuano a essere rassicurati sulla loro intelligenza. Quello che serve non è cambiare Sanremo, così come non è cambiare le cose che esistono, ma crearne di nuovo che non nascano già contaminate o non siano già troppo merce per poter rappresentare ogni parte musicale del Paese con tutta la libertà che occorre».

Infine Manuel ha ammesso che l’esperienza al Festival gli servì molto: «Definitivamente a capire la reale pochezza di tutto un ambiente, quello alternativo, che ormai non riesce neppure a diventare alternativo a se stesso. Pieno di regole, gabbie e creativamente poverissimo come mai in passato. Ci servì per i motivi per i quali serve a tutti: la fama, la credibilità fra gli addetti ai lavori e la conseguente disponibilità nei nostri confronti da parte di una serie di entità che non ci avrebbero mai preso in considerazione prima».

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