Minolfi Novella 2000 n. 26 2021

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Studio Minolfi: le conseguenze legali degli insulti al proprio ex sui social

Redazione | 16 Giugno 2021

Insultare il proprio ex attraverso i social può avere gravi conseguenze legali: ecco quali secondo il parere delle avvocatesse Minolfi

Aggressività sui social

Quando l’aggressività verbale tra ex coniugi finisce sui social media e diventa di rilevanza penale? Dopo separazioni, divorzi e distacchi definitivi spesso capita che i social diventino luogo di sfogo della rabbia e del risentimento che una persona può provare nei confronti dell’ex (coniuge, compagno/a etc).

Che sia la nuova vita che si sta costruendo, la condanna al suo mantenimento o antiche questioni irrisolte… Lo sbocco diventa quello degli insulti sulle piazze di Facebook, Instagram etc.

Le ultime dalla Cassazione

Al riguardo, ha già avuto occasione di pronunciarsi la Cassazione, la quale ha respinto l’impugnazione – presentata dalla ex moglie – di una sentenza della Corte d’Appello che confermava la condanna a due mesi per diffamazione emessa dal giudice di primo grado.

La donna era stata condannata per un episodio in particolare, che l’aveva vista scrivere insulti pubblici sui social nei confronti dell’ex-marito.

Nei post, la professionalità di insegnante dell’uomo era macchiata dal sospetto – in realtà infondato – di compromettenti perizie psichiatriche.

La Corte riconosceva la correttezza della decisione, e dunque la rilevanza penale della condotta ai sensi dell’articolo del Codice Penale (il 595) che disciplina il reato di diffamazione.

Nel nostro codice penale, gli articoli che si occupano di offese all’altrui reputazione sono due. Quello sull’ingiuria (il 594), e il citato 595 che si occupa della diffamazione.

Ormai però il quadro è cambiato e dal punto di vista penale è rimasto in vigore solo il reato di diffamazione. Infatti l’ingiuria è stata depenalizzata a semplice illecito civile – in pratica, se si ottiene la condanna per ingiuria il danneggiato potrà chiedere il risarcimento del danno, ma non la condanna in sede penale.

Diffamazione e ingiuria

Come distinguere il reato di diffamazione da quello di ingiuria? Il reato di ingiuria prevede che l’offesa sia rivolta mentre l’altra persona è presente (quindi in un rapporto diretto tra ingiuriante e ingiuriato).

Il reato di diffamazione richiede invece che l’offesa sia pronunciata senza che il destinatario (la persona offesa) sia presente. Vale il passa parola, tanto più nel caso di diffusione su un social. Soprattutto se ormai, “in considerazione del lungo lasso di tempo in cui il brano diffamatorio è rimasto sul blog, [ne è stato consentito] a tutti gli utenti l’accesso e la lettura”, ci dice la sentenza citata della Cassazione.

E a nulla vale sostenere che il destinatario fosse comunque, nella mente dell’autore/autrice del post incriminato, precisamente individuato. Di nuovo citiamo la Cassazione:

“La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca ‘facebook’ integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3°, c.p., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone, né l’eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria”.

Gli insulti pubblicati sui social, dunque, possono classificati come reato di diffamazione (che in caso di condanna prevede la reclusione fino a un anno o una multa fino a 1032 euro), ma anche e soprattutto come reato di diffamazione aggravata.

In questo caso, il social è infatti considerato pari a un mezzo pubblicitario, dato che consente appunto di raggiungere un numero potenzialmente indeterminato di persone.

La condanna in caso di diffamazione aggravata prevede pene più elevate: della reclusione da sei mesi a tre anni e una multa non inferiore a 516 euro.

Oltre gli insulti

E se gli insulti tra ex-coniugi travalicano, degenerando oltre gli insulti? Nel caso cioè sui social network si arrivi alle minacce o agli atti persecutori?

In questo caso gli insulti sono considerati reati: minacce e atti persecutori (articoli 612 e 612-bis del Codice Penale).

Quello che conta è se la minaccia, in sé o come atto persecutorio, e gli altri atti persecutori giungano effettivamente a conoscenza del destinatario, cioè la persona offesa.

Da un lato questo fatto può ritenersi “scontato quando il ‘profilo’ sia ampiamente accessibile”. Dall’altro lato, però, la giurisprudenza rileva che:

“ai fini della configurabilità del delitto di minaccia non è necessario che le espressioni intimidatorie siano pronunciate in presenza della persona offesa, potendo quest’ultima venirne a conoscenza anche attraverso altri, in un contesto dal quale possa desumersi la volontà dell’agente di produrre l’effetto intimidatorio”.

a cura di Eloisia e Luana Minolfi