Studio Minolfi Novella 2000 n. 24 2021

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Studio Minolfi: quando la sberla diventa reato? La risposta delle esperte

Redazione | 3 Giugno 2021

Quand’è che lo schiaffo diventa reato? Ce lo dicono le avvocatesse dello studio Minolfi, ripercorrendo le ultime dalla giurisprudenza

Quante volte da bambini, a seguito di una caduta o di una marachella, abbiamo sentito dire gli anziani “Va’ che ti do un manrovescio”? Le madri in quel caso aggiungevano “E non piangere che ti do anche il resto”. Oggi tuttavia lo schiaffo può in astratto integrare il reato di percosse (ai sensi dell’art. 581 del Codice Penale), ed è perseguibile con una querela di parte entro 30 giorni.

In quel caso, la competenza è del Giudice di Pace e la pena sarà o la reclusione fino a 6 mesi oppure una multa fino a 309 euro.

È reato anche l’intenzione

La giurisprudenza ritiene sufficiente peraltro, ai fini della configurabilità del reato, l’idoneità della mera condotta di violenta manomissione dell’altrui persona fisica a produrre un’apprezzabile sensazione dolorifica, a prescindere dal verificarsi del dolore. In altre parole, non è necessario che sia presente una sofferenza fisica. È sufficiente il tentativo di provocare una sensazione di dolore nella persona offesa. Non conta la forza, ma il gesto.

Fondamentale è la quantità di “apprezzabile violenza” della condotta, del gesto.

“La fattispecie incriminatrice definisce un ambito applicativo nel quale”, come affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, “non rientrano tutte le percussioni dell’altrui corpo, ma solo quelle che, con un contenuto di apprezzabile violenza, siano dirette a produrre una altrettanto apprezzabile sensazione dolorifica”.

Quando non si punisce

La punibilità è esclusa nel momento in cui si tratti di un’offesa particolarmente tenue. Un’ipotesi di non punibilità ai sensi dell’art. 131 bis del Codice Penale. Tuttavia la sentenza 6 del 23 luglio 2020, n. 22045 della Corte di Cassazione, sez. V Penale recita:

“La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis c.p., non è applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del Giudice di Pace”. Per intenderci, un leggero scappellotto o una sculacciata di lieve intensità.

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, è richiesto il dolo generico. Ovvero, la coscienza e volontà di percuotere la vittima causando del dolore fisico apprezzabile.

La condotta non deve però provocare traumi o malattie esteriori. Nel qual caso, si rientrerebbe nella fattispecie penale più grave delle lesioni.

Percosse e ingiurie

Sulla differenza tra percosse e ingiuria, la Cassazione ci dice che:

“Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 581 cod. pen., nella nozione di ‘percosse’ rientrano anche gli schiaffi, in quanto intrinsecamente caratterizzati da energia fisica esercitata con violenza e direttamente sulla persona, purché non siano produttivi di malattia (ricadendosi in tal caso nel reato di lesioni) o non manifestino una violenza di entità inavvertibile e simbolica, indice dell’esclusivo proposito di arrecare sofferenza morale o disprezzo (in tale ipotesi configurandosi il reato di ingiuria)”.

Se fosse configurabile l’ingiuria (che dal 2016 è solo illecito amministrativo e non più reato) per l’offesa all’onore e alla reputazione della vittima, lo schiaffeggiatore potrebbe vedersi comminare una multa, che andrà da 200 a 12.000 euro.

Se all’ingiuria però si accompagnassero le minacce, la questione tornerebbe a essere di rilievo penale.

Resta ferma la possibilità per l’offeso di chiedere il risarcimento del danno. In particolare, di quello non patrimoniale (morale). Ma starebbe alla persona offesa dimostrare l’offesa.

Ipotesi dello schiaffo del genitore al figlio

Non sembrano potersi ravvisare particolari ostacoli alla configurazione del reato di percosse a carico di un genitore a seguito di uno schiaffo assestato al figlio.

Prendiamo il caso di una madre che tira uno schiaffo alla figlia. La posizione della magistratura è stata quella di escludere il rilievo di segni esteriori ai fini della configurabilità del reato ex art. 581 c.p.

Qualora in conseguenza di tale condotta vi fossero anche lesioni che provochino possibili danni fisici o psichici, potrebbe inoltre configurarsi il reato di Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina ex art. 571 c.p.

È interessante al riguardo una sentenza della Cassazione penale, in base a cui:

“Integra il reato di abuso di mezzi di correzione o di disciplina la condotta del genitore che, pur sorretta da animus corrigendi, si esplichi con modalità tali da determinare il pericolo del sorgere di una malattia psichica (fattispecie in cui il padre, ritenendo la propria figlia responsabile della sottrazione di un ciondolo, la costringeva a scrivere ripetutamente su un quaderno frasi come ‘Io non sono una ladra, non devo rubare’, minacciandola con percosse e cagionandole un trauma psichico)”.

L’abuso dei mezzi di correzione

La sentenza istituisce così una sorta di linea di confine tra la condotta del genitore che abbia obiettive e utili finalità pedagogiche e quella invece umiliante e afflittiva nei confronti del minore.

“Mentre non possono ritenersi preclusi quegli atti, di minima valenza fisica o morale, che risultino necessari per rafforzare la proibizione, non arbitraria né ingiusta, di comportamenti oggettivamente pericolosi o dannosi rispecchianti la inconsapevolezza o la sottovalutazione del pericolo, la disobbedienza gratuita, oppositiva e insolente, integra la fattispecie criminosa in questione l’uso in funzione educativa del mezzo astrattamente lecito, sia esso di natura fisica, psicologica o morale, che trasmodi nell’abuso sia in ragione dell’arbitrarietà o intempestività della sua applicazione sia in ragione dell’eccesso nella misura, senza tuttavia attingere a forme di violenza.

E, infine, che l’esercizio della funzione correttiva con modalità afflittive e deprimenti della personalità, nella molteplicità delle sue dimensioni, contrasta con la pratica pedagogica e con la finalità di promozione dell’uomo ad un grado di maturità tale da renderlo capace di integrale e libera espressione delle sue attitudini, inclinazioni ed aspirazioni”.

Danni fisici e danni psichici

Infine, i danni psichici che derivino da detta condotta sono da valutare in senso più ampio rispetto ai danni fisici:

“In tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, la nozione di malattia nella mente (il cui rischio di causazione implica la rilevanza penale della condotta) è più ampia di quelle concernenti l’imputabilità o i fatti di lesione personale, estendendosi fino a comprendere ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d’ansia all’insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento”.

Alla luce di quanto sopra, si potrebbe forse concludere che lo schiaffo di un genitore al figlio, se mosso da finalità educative/correttive, si può ricondurre più all’Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (ex art. 571 c.p.) che non alle Percosse (art. 581 c.p.).

Inoltre si può forse escludere il rilievo penale della condotta, qualora questa rientri entro certi limiti “funzionali”, ma soprattutto materiali. Ossia, tali da non provocare al minore danni fisici o psichici.