La Consulta salva l’impianto della legge toscana ma boccia gli eccessi regionali

La Corte Costituzionale ha recentemente emesso una sentenza fondamentale riguardante la legge sul fine vita in Toscana, intervenendo con decisione sul delicato equilibrio istituzionale italiano. I giudici hanno accolto solo parzialmente il ricorso presentato dal governo nazionale, confermando comunque la validità generale dell’impianto normativo costruito con fatica dalla regione Toscana. Questa decisione rappresenta un momento di chiarezza necessario per un tema che scuote profondamente la coscienza pubblica e la politica dei palazzi romani. La sentenza numero 204 del 2025 stabilisce infatti un precedente cruciale per tutte le altre amministrazioni locali che intendono legiferare su questa materia complessa.

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Il verdetto della Consulta tra conferme e bocciature

Il cuore della pronuncia risiede nel riconoscimento della competenza regionale per quanto riguarda l’organizzazione pratica e la gestione dei servizi sanitari sul territorio. La Consulta ha respinto le censure dello Stato che miravano a demolire l’intera legge, salvando la possibilità di istituire commissioni multidisciplinari presso le aziende sanitarie. Queste strutture tecniche hanno il compito fondamentale di esaminare le richieste dei pazienti garantendo che ogni passaggio avvenga secondo rigorosi criteri di precisione scientifica. La Corte ha riconosciuto che la Regione può stabilire tempi certi per le verifiche mediche per evitare che l’attesa burocratica diventi una tortura supplementare.

Tuttavia, i giudici costituzionali hanno anche tracciato un confine invalicabile dichiarando illegittime alcune disposizioni che invadevano la sfera di competenza esclusiva del legislatore nazionale. Le Regioni non possono infatti definire autonomamente i requisiti sostanziali per l’accesso al fine vita, poiché tali diritti devono rimanere identici per ogni cittadino italiano. La sentenza sottolinea che permettere standard diversi tra i vari territori creerebbe una discriminazione inaccettabile tra malati che affrontano le medesime condizioni di sofferenza estrema. Il potere regionale deve quindi limitarsi a predisporre gli strumenti operativi senza mai riscrivere i principi giuridici che regolano la vita e la morte.

La necessità di una legge nazionale

Il percorso della legge toscana affonda le sue radici nella volontà politica di colmare un vuoto normativo che il Parlamento non riesce ancora a risolvere. Molti consiglieri regionali hanno spinto per questa norma nel 2025 proprio per dare seguito alle precedenti storiche sentenze della stessa Corte Costituzionale. Il governo nazionale ha invece impugnato il testo temendo che un eccessivo protagonismo delle regioni potesse scardinare l’unità del sistema giuridico e penale italiano attuale. Questo scontro istituzionale nasconde una tensione più profonda tra la richiesta di dignità dei malati e la prudenza della politica nel toccare temi etici.

La decisione della Consulta agisce ora come una bussola che indica ai legislatori la strada corretta per garantire l’assistenza necessaria a chi soffre irreversibilmente. Molti osservatori ritengono che questa parziale vittoria della Toscana spingerà altre amministrazioni a proporre testi simili ma più attenti ai limiti tecnici appena tracciati. Resta però aperta la questione principale riguardante l’urgenza di una legge sul fine vita quadro nazionale che possa finalmente offrire certezze definitive a medici, pazienti e famiglie coinvolte. Senza un intervento del Parlamento, il rischio è che il diritto a una fine dignitosa continui a dipendere da lunghe battaglie giudiziarie e interpretazioni parziali.

Dario Lessa