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Stash, lo sputo, le scuse. La parabola dei bimbiminkia.

Matteo Osso | 21 Giugno 2016

stash

Erano giovani, forti e sono morti. Con uno sputo. Almeno le rock star degli anni ’70 andavano a finire male […]

Erano giovani, forti e sono morti. Con uno sputo.
Almeno le rock star degli anni ’70 andavano a finire male dopo essersi bruciati in una vita di eccessi, dove la ricerca della trasgressione era molto più di uno stile di vita. Era una vera e propria missione, un modo per scardinare regole allora troppo strette dimostrando che c’era un’esistenza possibile, terrena e superiore al tempo stesso. Tutte balle, come oggi sappiamo. Gli eccessi conducono al disastro e il successo, la popolarità, la fama non sono sinonimo di onnipotenza.
Tuttavia esisteva una fondamentale differenza tra i deliri di onnipotenza tra quel mondo e questo di oggi: la dignità di rischiare fino in fondo.
Jim Morrison è morto così come aveva vissuto, senza rimorsi. Troppo presto, troppo giovane, nel modo sbagliato… Ma è morto da Jim Morrison.
Oggi non più. Oggi le storie sono brutte non perchè vanno a finire male, ma perchè sono intrise del sottile retrogusto patetico dei figli di mammà che prima sputano alla telecamera rifiutando un premio che hanno scelto consapevolmente di andare a ritirare, e dopo un quarto d’ora si zerbinano chiedendo scusa per essere stati kattivi. Che Babbo Natale altrimenti l’iphone 7 non glielo porta mica.
Che brutta storia. Mamma mia, che brutta.
Brutto il gesto: sputare su qualcosa e la massima espressione del disprezzo, e sputare su una telecamera equivale a sputare su tutto il pubblico che ti guarda. Quello stesso pubblico che attraverso quella stessa telecamera avete inseguito nel tentativo di emergere da una mandria di ragazzini tutti in cerca non tanto della grande occasione quanto della notorietà take away.
Sputare su un premio equivale disprezzare un sistema che riconosce e celebra il tuo talento, sistema del quale hai scelto di far parte così come hai scelto di andare lì a far ondeggiare il ciuffo per crogiolarti nelle urla delle ragazzine in botta ormonale.
Sputare su un programma significa sputare sul lavoro di qualche decina di persone, che senza ciuffi e senza eyeliner hanno messo in piedi un giochino ad uso e consumo della tua fama, ma rimanendo dietro le quinte e guadagnando in un mese quello che tu prendi in un pomeriggio. E non mi riferisco ai manager, ma ai cameramen, alle sarte, alle truccatrici, agli attrezzisti che silenziosamente, per mille e qualcosa euro al mese, devono convivere con le grandezze ma anche con le miserie di chi si butta in scena.
Non va bene, caro Stash. Tutto questo non va bene anche se sei bravo, anche se hai talento. Ha avuto ragione Mandelli a prenderti per le orecchie, e ha usato anche una cortesia che forse altri si sarebbero risparmiati: lo ha fatto dietro le quinte.
Ma la cosa più triste, quella che scolpisce nel marmo il monumento al nulla sono le scuse.
Poteva esserci una ragione anche per essere maleducato. Poteva esserci un motivo incomprensibile ma profondo, e allora avremmo sbagliato tutti quanti nel criticare un gesto indubbiamente forte, ma motivato.
Invece no. Tutto quello che sulle prime ne è uscito è “sapete come sono fatto” (no, non lo sapevamo, ma adesso lo sappiamo, grazie). E in seconda battuta, rimosso lo scivolone della prima ora, una letterina di scuse, come il bambino che dopo aver rotto col pallone i gerani della vicina viene spedito a chiedere scusa sotto il tiro della mamma che dalla veranda ti punta come un cecchino.
Ecco. Tutto questo toglie ogni dubbio sul gesto, che da brutto diventa anche inutile.
E apre la porta al triste sentore che fosse la cazzata di un ragazzino in cerca dello scandalo facile.
Se solo certi esercizi si facessero allo specchio…..