Resente Novella 2000 n. 13 2022

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Studio Resente: Gucci e gli altri, cercasi vero stile

Redazione | 16 Marzo 2022

Un’ammonizione ai nuovi stilisti da parte del nostro Alessandro Resente: “Tornate a fare moda seriamente, prendendo esempio dai grandi”

Per caso ho visto l’intervista fatta da Fabio Fazio ad Alessandro Michele, direttore artistico di Gucci, a Che tempo che fa, a conclusione della fashion week. Ho cercato di ascoltare con attenzione le sue risposte e le sue affermazioni, che mi hanno veramente colpito e frastornato. Alcune difficili da accettare, sulla base del suo percorso creativo.

Prima di tutto vorrei soffermarmi sul suo stile, perché credo che se uno propone una moda deve essere il primo a crederci. Invece… T-shirt bianca con camicia a quadri rossi e neri, jeans e – questa veramente la chicca – calzini rossi! Ma questo è l’uomo Gucci!

Il tocco di Re Giorgio

Giorgio Armani (mai sufficientemente riconosciuta la sua grandezza e soprattutto il merito di aver contribuito a imporre nel mondo la moda italiana), anche con una semplice T-shirt e un pantalone blu con delle sneaker, si capisce che veste Armani, perché il suo stile è determinato da tagli, da morbidezze e tessuti. Ma soprattutto, lui indossa ciò che propone.

Alessandro Michele invece propone uno stile e poi si presenta come il più banale degli uomini. Io ritengo, per una questione di rispetto nei confronti dei suoi acquirenti, che debba almeno vestirsi come il suo stile. Altrimenti sarebbe assurdo che uno acquisti Gucci, quando lo stesso stilista non crede a quello che propone.

La pratica della bellezza

Ma sono i suoi concetti sulla bellezza che mi hanno veramente colpito. Tutto espresso con tranquillità e convinzione, ma che non trova trasposizione nelle sue proposte.

“La bellezza è una pratica religiosa, la pratico in maniera spirituale. Per me è una connessione indispensabile. La bellezza è stata una scialuppa che poi si è trasformata in una prateria meravigliosa”.

Ma la bellezza cos’è? Capisco che deve alimentare un personaggio osannato da molti giornalisti di moda, ma noi vogliamo tornare alla concretezza. E posso permettermi di dirlo, perché la moda l’ho studiata, ci ho lavorato e la respiro quotidianamente.

Negli anni Ottanta Gucci era famoso per la piccola pelletteria (borse, portafogli e accessori) e i foulard (indimenticabile la fantasia flora), ed era quasi in bancarotta quando entrò nel reparto creativo Tom Ford, che nel 1995 rilanciò il marchio creando collezioni indimenticabili, di una bellezza strabiliante.

Oggi, il concetto di bellezza di Alessandro Michele va dalle vestagliette da casa ai completi indossati da Achille Lauro. Bravo lui ad indossarli, ma difficili per la quotidianità.

Nel periodo di maggior successo, i negozi Gucci esponevano nelle vetrine i vestiti, gli abiti che rappresentavano per molti un vero desiderio. Adesso troviamo per lo più borse con la doppia G, molte delle quali riedizione di vecchi modelli.

Purtroppo adesso lo stile Gucci non si basa più su ricerca di tagli, di idee, ma si basa essenzialmente sul marchio che troviamo stampato su tute, maglie, vestiti. È una clientela che vuole solo apparire, e ha bisogno di identificazione. Non compra per il piacere di avere un certo capo, ma solo per la doppia G.

Ma questa è ricerca della bellezza?

Valorizzare la persona

Questo non deve essere permesso, e prima di tutto non lo devono consentire i giornalisti esperti di moda. Il periodo d’oro della moda italiana è stato caratterizzato da capi portabili, che valorizzavano chi aveva la fortuna di indossarli.

Un Versace lo identificavi subito, lo vedevi, e in molti casi è ancora attuale. Quanti rimpiangono le camicie bianche di Gianfranco Ferrè, opere d’arte, che poi nessuno ha più saputo eguagliare, ma chi le possiede può ancora indossarle e sicuramente sarà ammirata.

Questa è la moda che vogliamo e si deve fare. A parte questi due anni, ma già prima, la nostra moda aveva già manifestato le sue difficoltà. Nomi nuovi non ne stanno venendo fuori, proprio perché si pensa che si possa creare quello che si vuole, che le ridicolaggini siano creatività.

La grande Orietta Berti, professionista e artista, ha caratterizzato la sua partecipazione a Sanremo con abiti eccentrici, importabili, in antitesi con il suo personaggio, ma fondamentali per evidenziarne la presenza. Ma erano vestiti da scena.

Raffaella Carrà ha sempre saputo scegliere i suoi vestiti. Sicuramente non facili, ma che assieme a una bravura unica, da vero animale dello spettacolo, hanno creato quel personaggio che nessuno è mai riuscito a copiare.

Ma questi sono fenomeni dello spettacolo, come Lady Gaga, come Madonna… Sono abiti per costruire un personaggio, mentre le collezioni devono essere portabili. Devono valorizzare, devono farci star bene, e non sempre una doppia G rende più belli, ma molto spesso ridicolizza chi la indossa!

Un bell’abito è come il profumo

È come per il profumo, che da sempre per me è un elemento fondamentale della persona, tanto che non esco di casa senza averlo indossato, altrimenti è come se mi mancasse qualcosa. Ma il profumo si deve sentire. Adoro lasciare la scia, e lo stesso deve essere nel look. Il look deve evidenziare il nostro essere, trasmettere la nostra personalità, portarci dritti al bello! Allora sì, possiamo condividere le parole di Alessandro Michele. Ma credo che di strada ne debba fare ancora molta, e questo è un invito che voglio fare a tutti gli stilisti, direttori artistici o creativi: tornate a fare moda seriamente, prendete esempio dai grandi nomi. C’è un vuoto. Studiate i tagli, cercate i tessuti, disegnate e fate squadra per riportare in alto il nostro stile!

a cura di Alessandro Resente