Dopo lo scandalo Tod’s, tremano i colossi della moda: le indagini dei Carabinieri toccano Prada, Gucci, Dolce & Gabbana
L’ombra della manodopera schiava sul Made in Italy, il caporalato stringe la sua morsa sul lusso: maxi-inchiesta che svela l’ipocrisia…
L’ombra della manodopera schiava sul Made in Italy, il caporalato stringe la sua morsa sul lusso: maxi-inchiesta che svela l’ipocrisia di un settore miliardario, incapace di garantire una filiera etica
La scintillante vetrina della moda e del lusso italiano sta mostrando crepe drammatiche, rivelando dietro l’opulenza dei capi iconici storie di sfruttamento e condizioni lavorative disumane. Situazioni che sollevano questioni morali profonde. Il ciclone giudiziario, scatenato dal clamoroso caso Tod’s, sta travolgendo ben tredici marchi di altissima risonanza internazionale. Brand che ora sono costretti ad affrontare ispezioni dettagliate e richieste di documentazione da parte della Procura di Milano che vuole fare chiarezza. Le procure chiedono di verificare con attenzione quanto i noti brand come Prada, Gucci e Dolce & Gabbana abbiano davvero vigilato sulle loro catene di fornitura, spesso affidate a subappaltatori opachi dove i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro hanno scoperto l’orrore.
Sfruttamento della manodopera per garantire ritmi di produzione frenetici a costi irrisori
Si parla di lavoratori, prevalentemente di origine straniera, costretti a turni massacranti che superano le quattordici ore giornaliere, stipendi irrisori che arrivano a pochi euro l’ora, e ambienti insalubri e pericolosi che rappresentano una vera e propria bomba a orologeria per la sicurezza. Gli inquirenti stanno approfondendo la gestione degli appalti e dei subappalti, cercando di comprendere quanto la logica del massimo ribasso abbia spinto le grandi maison della moda a chiudere un occhio sullo sfruttamento della manodopera per garantire ritmi di produzione frenetici a costi irrisori. Le indiscrezioni parlano di un sistema ben radicato, nel quale il caporalato non è un’eccezione, ma un modello industriale nascosto che permette di mantenere i margini esorbitanti del Made in Italy pur compromettendo l’integrità etica.
L’eco di questa inchiesta rischia di macchiare l’immagine dell’intera industria della moda italiana che si vanta di eccellenza, e potrebbe causare un danno di reputazione difficilmente quantificabile. Molti osservatori si interrogano sulla reale efficacia dei modelli di governance e dei controlli interni adottati dalle aziende, notando che i provvedimenti della magistratura arrivano dopo mesi di denunce da parte di associazioni e sindacati che combattono da tempo questo modello perverso. In un mondo dove la sensibilità dei consumatori verso le tematiche ambientali e sociali è in crescita esponenziale, le case di moda coinvolte dovranno agire rapidamente e con la massima trasparenza, dimostrando di poter cambiare le proprie procedure e di anteporre l’etica al mero profitto. Questo scandalo rappresenta un urgente monito per l’intero settore del lusso affinché ripensi radicalmente il suo modello produttivo, smettendo di sacrificare i diritti umani sull’altare della ricchezza sfrenata.