Il ricordo affettuoso di Edoardo Romano, dedicato a Peppe Vessicchio, compagno d’avventure nei Trettré: «Se n’è andato un altro pezzo della mia vita artistica, dopo Gino Cogliandro»

Ci sono legami che il tempo non spezza, ma anzi, rende più teneri e preziosi.

Tra le mille note di una carriera che ha fatto sorridere e sognare gli italiani, Edoardo Romano ci apre il cuore per ricordare gli esordi dei Trettré, quando, tra risate, musica e amicizia, c’era anche un giovane Peppe Vessicchio — destinato a diventare uno dei direttori d’orchestra più amati del nostro Paese.

In questa chiacchierata, Edoardo Romano ci riporta indietro nel tempo, a quei giorni pieni di entusiasmo, talento e complicità.

Che ricordo conserva di Peppe Vessicchio nei primi anni del gruppo Trettré?

«Ah, Peppe era un ragazzo pieno di energia e curiosità.
Con lui c’è stato un rapporto che è iniziato negli anni ’70, quando io misi insieme il gruppo Trettré a Napoli. Lui aveva il ruolo di musicista, perché già studiava al Conservatorio. Cominciammo a muovere i primi passi in un periodo di grande fermento artistico: nascevano i gruppi di cabaret, quelli musicali… era l’epoca di Pino Daniele, Massimo Ranieri e tanti altri talenti napoletani.
Peppe è stato con noi per circa dieci anni. Purtroppo, in quel periodo non accaddero grandi cose tali da permettergli di restare: lui diceva sempre “Io sono per la musica, a me piace la musica”. E così, dopo quasi un decennio, decise di andare via, dicendo con il suo sorriso pacato: “Ragazzi, io sono troppo innamorato della musica. A me piace sonà (suonare). Qui ancora non succede niente, quindi preferisco andare”.»

Lei come la prese?

«Io, però, non mi perdo d’animo: sono testardo. Se fosse stato per Mirko Setaro, forse avremmo sciolto il gruppo, ma io ero convinto e ho continuato. Andai a chiamare Gino Cogliandro, con cui avevo già lavorato a livello amatoriale — e che purtroppo, anche lui, ci ha lasciati pochi anni fa — e lo sostituii a Peppe.
La cosa che mi piace sottolineare è che, guarda caso, Gino aveva molte delle stesse caratteristiche di Peppe: a livello comportamentale, di atteggiamento, quella pacatezza, quel sorriso sornione, quell’educazione e quel volto simpatico. Proprio come Peppe, non ti diceva mai di no. Anche quando spiegava le cose, non alzava mai la voce.»

Ricorda qualche aneddoto o momento particolare vissuto insieme a Peppe in quegli anni?

«Oh sì, tanti!
Te ne racconto uno in esclusiva per Novella.
Negli anni ’70 conoscemmo Marcello Casco, famoso autore radiofonico e poi televisivo. Ci vide esibirci e ci disse: “Ragazzi, vi curo l’immagine, vi aggiusto un pochettino e vi propongo a Enzo Trapani, che sta cercando comici per il programma No Stop.”
Prendemmo appuntamento a Roma, in un locale molto in voga all’epoca. Ma Peppe, che era ritardatario per natura, anche in quella circostanza arrivò con due ore di ritardo alla partenza da Napoli. Così giungemmo al provino in ritardo… e dopo di noi doveva esibirsi La Smorfia

Cosa successe?

«Il nostro ritardo fece infuriare la produzione: fecero il provino alla Smorfia e presero loro. Io ero parecchio arrabbiato, ma Peppe, con la sua calma disarmante, mi guardò e disse: “Vabbè, Edoardo, iamme ja (andiamo)… ci sarà un’altra occasione!”
E quando lui ti rispondeva così, con quella serenità, ti smontava. Non riuscivi più a dire nulla.»

Si aspettava che Peppe Vessicchio diventasse una figura così importante nel panorama musicale italiano?

«Sinceramente sì. Peppe aveva una dedizione totale alla musica, ma anche una grande umanità. Era serio, sensibile, profondo. Sapeva ascoltare.»

Lo sentiva ancora negli ultimi tempi?

«Sì, lo avevo sentito appena quindici giorni fa.
Stava curando anche due brani di mio figlio, che è un cantautore. Era sempre disponibile, gentile, affettuoso.»

Un ultimo pensiero per lui?

«Mancherà. Ci mancherà e mi mancherà moltissimo.
Dopo Gino, se n’è andato un altro pezzo della mia vita artistica.»

A cura di Alba Cosentino

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