Intervista all’attrice e scrittrice sul nuovo libro: maternità, paternità e resilienza familiare

Beatrice Luzzi, attrice romana, nota al grande pubblico, torna a far parlare di sé non solo per le sue esperienze televisive ma anche come autrice, con la pubblicazione del suo nuovo libro: “Una famiglia a due piazze”, edito da Armando De Nigris Editore.

Il successo per Luzzi è arrivato tra il 1999 e il 2001 grazie al ruolo di Eva Bonelli nella popolare soap opera di Canale 5, Vivere. Più di recente, la sua storia personale ha avuto una forte risonanza mediatica con la partecipazione al Grande Fratello, programma al quale è poi tornata nelle vesti di opinionista. Proprio durante il reality, l’attrice ha vissuto un periodo di grande esposizione emotiva, culminato in un inaspettato avvicinamento con l’ex gieffino Giuseppe Garibaldi.

Oggi, Beatrice Luzzi riflette la complessità della sua visione familiare in una composizione letteraria. È madre di due splendidi figli, Valentino (15 anni) ed Elia (13 anni), nati dalla relazione con l’ex compagno, l’antropologo e giornalista Alessandro Cisilin.

L’attrice, sempre circondata dall’affetto dei suoi fan, le “Briciole”, ha da poco festeggiato il compleanno tra torte, balli e firmacopie.

Incontriamo Beatrice Luzzi per una piacevole chiacchierata.

 

In che modo Una famiglia a due piazze la rappresenta?

«Il libro racconta la mia evoluzione nel senso più autentico. Parte dalla seconda gravidanza come se fosse un diario: scrivo durante i nove mesi, descrivo l’andamento, passo dopo passo.
Poi riprendo la narrazione 15 anni dopo, con figli adolescenti e una famiglia allargata “a due piazze”. Nel frattempo, con il padre dei miei figli, Alessandro, ci siamo separati, ma siamo rimasti una famiglia: il padre continua a essere quotidianamente qui da noi, entra ed esce come vuole, porta i ragazzi, porta il cane. Quando parto per lavoro mi sostituisce completamente, come ha fatto nei sei mesi del Grande Fratello. Siamo rimasti una famiglia autentica, con rapporti quotidiani, solo distribuita su due piazze: le tensioni della convivenza si diluiscono, ma il legame resta forte».

 

Le Briciole, la sua comunità la segue ovunque

«La mia comunità è al 90% femminile, di tutte le età e da tutta Italia. Negli ultimi due anni ho ricevuto tantissime mail in cui mi raccontano le loro storie. Si è creata una connessione di anime: infatti ho scritto e rieditato la seconda parte del libro proprio per loro.

Mi considerano un punto di riferimento per la mia capacità di resistere agli attacchi e alle infamità subite nella casa del Grande Fratello restando me stessa, senza diventare aggressiva o giudicante, senza perdere lucidità, amore e dignità.
Mi riconoscono anche la capacità di perdonare: di andare oltre, di non perdere tempo nel rancore o nella rabbia.

Credo poi di essere portatrice di valori un po’ desueti: il bene comune, l’impegno sociale e civile, che ho dimostrato cucinando e restando accanto anche a chi mi aveva detto di tutto, e poi nei miei 30 anni di percorso professionale.

Dopo il GF ho creato format sui social in cui racconto in prima persona le storie che mi arrivano. Questo genera processi di liberazione individuale e collettiva: chi guarda si identifica, si sente meno solo, trova coraggio, relativizza il proprio dolore, guarda le cose con più ironia, leggerezza e libertà.

In più, grazie agli eventi dal vivo che ho iniziato appena uscita dalla casa, si sono create vere amicizie: chi si riconosce in una persona ha dei minimi comuni denominatori anche con gli altri. Così è più facile diventare amiche.
Vengono ai miei eventi, poi rimangono tre giorni insieme, vanno al mare, fanno gite culturali… Io sono diventata un pretesto: loro si divertono moltissimo!».

 

Quali aspetti della famiglia contemporanea emergono con più forza nel libro?

«La mia storia mostra che una separazione non significa la fine della famiglia. Mostra che si può rimanere uniti nella quotidianità, sostenersi e mantenere rapporti autentici pur vivendo “a due piazze”. Significa accettare una forma di famiglia meno rigida, più fluida, dove i ruoli non si interrompono ma si trasformano. Nel nostro caso, il padre è molto presente: entra ed esce liberamente, accompagna i ragazzi, si occupa della casa e del cane quando lavoro. È un equilibrio diverso, ma profondamente affettivo».

 

Come si è concretizzato il contributo del padre e del figlio Valentino, richiesto proprio da lei, nella stesura?

«Nel primo libro del 2011 c’erano già paragrafi scritti dal padre, perché affrontavo temi come la paternità, l’importanza del ruolo paterno, i congedi parentali. Nel secondo libro, a distanza di 15 anni, ho chiesto ad Alessandro il suo contributo, proprio come allora. Poi l’ho chiesto anche ai ragazzi, promettendo che ciascuno avrebbe scritto un capitolo. Quel capitolo è diventato un paragrafo, e alla fine solo uno dei due figli (Valentino) l’ha scritto… ovviamente!
Sono stata io a chiederglielo: puoi immaginare quanto sia stato difficile, dato che non avevano ancora letto il primo libro!».