I gioielli segreti dei Savoia: la battaglia legale vale milioni
Il popolo italiano li considera propri, ma Emanuele Filiberto e la famiglia reale sostengono che siano beni di Casa Savoia…
Il popolo italiano li considera propri, ma Emanuele Filiberto e la famiglia reale sostengono che siano beni di Casa Savoia acquistati o ricevuti nel corso dei secoli e ora contesi in tribunale
I gioielli della Corona non sono della famiglia Savoia, ma appartengono al Popolo italiano. Parliamo di brillanti, diademi, tiare per un valore di 300 milioni. Sono nostri, appunto, degli italiani. Lo ha scritto a chiare lettere il Tribunale Civile di Roma: «Gli attori non possono vantare alcun titolo di proprietà sui beni rivendicati che non sono del resto mai appartenuti a Re Umberto II per essere di proprietà dello Stato fin dal tempo dello Statuto Albertino e rimasti tali nel passaggio alla Costituzione Repubblicana». Caso chiuso?
Non per i Savoia: le sorelle dell’Ultimo re Umberto II, Maria Gabriella, Maria Pia, Maria Beatrice, i figli, i nipoti, compreso Emanuele Filiberto di Savoia contestano e faranno ricorso (sarà discusso l’appello a metà novembre) perché venga riconosciuto che quelli non erano gioielli dati dallo Stato Italiano alla famiglia reale per “fare i re”, ma sono stati comprati a partire da Vittorio Emanuele II, il primo re d’Italia, figura centrale del Risorgimento, che guidò l’unificazione italiana con il sostegno di alleati come Cavour e Garibaldi. A quei gioielli poi si sono aggiunte donazioni, regali, fatti personalmente ai Savoia, perfino eredità.
Un ennesimo problema per Emanuele Filiberto già alle prese con un divorzio (mai ancora reso ufficiale) dalla moglie Clotilde Coreau che inevitabilmente coinvolge anche le sue figlie Maria Vittoria, l’erede al trono (per i monarchici, se ce ne sono ancora), e Maria Luisa. E la richiesta di divorzio ha un nome, Adriana Abascal.
Adriana, ex modella e conduttrice messicana, ora imprenditrice e fondatrice del brand di scarpe di lusso Maison Skorpios, che nel 1990 ha sposato Emilio “El Tigre” Azcárraga, magnate dei media e proprietario di Televisa, il più grande produttore mondiale di contenuti in lingua spagnola. Rimasta vedova nel 1997, ha poi intrapreso una nuova relazione con Juan Villalonga, presidente di Telefónica, con cui si è sposata e ha avuto tre figli prima della separazione.
Nel 2009 è arrivato il terzo matrimonio, con l’uomo d’affari francese Emmanuel Schreder. Anche questa unione si è conclusa, nel 2021.
E ora da Parigi mi fanno sapere che Emanuele vuole sposarla e l’ha già presentata a tutti gli aristocratici europei.
Ma torniamo al prossimo processo, al ricorso dei Savoia per riottenere i gioielli di Casa Savoia, ancora custoditi in un baule nel caveau della Banca d’Italia. Un problema da 300 milioni di euro.
>«Non c’è nessun problema», mi dice Emanuele Filiberto, sapendo che ne avrei parlato anche in tv a Canale 5 da Francesco Vecchi, forse uno dei giornalisti più attenti e rigorosi della tv, a Mattino 5. «Dei gioielli privati vanno restituiti ai loro proprietari. Questi gioielli sono dei gioielli acquisiti da Casa Savoia o donati nei matrimoni o ricevuti o rimontati da Umberto II, mio nonno, con i soldi personali di Casa Savoia. Li hanno dopo chiamati i gioielli della Corona, ma non sono gioielli della Corona, sono gioielli di Casa Savoia e Casa Savoia era la Corona».
Sì, però i gioielli furono consegnati dal Ministro della Real Casa Falcone Lucifero alla Banca d’Italia il 5 giugno 1946 (tre giorni dopo il referendum istituzionale per la scelta tra monarchia e repubblica) all’allora presidente della Banca Luigi Einaudi, poi diventato primo presidente della repubblica, pur essendo amico del re Umberto e con simpatie monarchiche, dicono.
Ma Emanuele Filiberto replica: «Sono dei gioielli lasciati attraverso il Ministro della Real Casa Falcone Lucifero da Umberto II alla Banca d’Italia dopo il referendum. Tutti gli avevano detto che sarebbe stato poco all’estero. Ripetevano: “L’esilio durerà ben poco, lasci rafforzare la Repubblica e poi tornerà”. Lo stesso Einaudi ha scritto nei suoi diari che questi gioielli non si capisce neanche perché li lascia, perché sono suoi e basta».
Emanuele Filiberto pare sereno, si sente nel giusto: «L’unica cosa che chiediamo è che siano restituiti. Io non capisco tutto questo problema e tutto questo polverone. Perché sì, siamo Savoia, ma oggi siamo dei cittadini italiani, quando viene confiscato un bene si ha il diritto di riaverlo indietro».
Eppure il giudice Mario Tanferna sostiene di non considerare la posizione di Einaudi e i suoi diari.
«Non ha dato importanza alla parola di un Presidente della Repubblica. Così noi abbiamo fatto il ricorso, il ricorso avrà luogo a breve, a metà novembre. E l’unica cosa che si chiede è restituire i beni che non hanno niente, ma niente a che vedere con lo Stato italiano. Anzi ha già preso ben tanto tra tutto quello che apparteneva all’Ordine Mauriziano e con i beni personali di Casa Savoia. Ma adesso voglio dire basta».
Si arriverà all’appello, poi in Cassazione.
«Non ci fermeremo lì se non saranno riconosciuti i nostri diritti, noi ricorreremo alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, come l’ho sempre detto. Ma prima di ricorrere alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, prima bisogna esaurire tutte le possibilità che possiamo avere in Italia».
>Ma il principe lancia anche un allarme: «Bisogna anche capire se ci sono ancora in quel baule alla Banca d’Italia, perché, conoscendo e vedendo un po’ quello che è successo in 80 anni di Repubblica con i beni di Casa Savoia, chi lo sa cosa c’è in quella cassa, in quel cofanetto, chi lo sa?».
Ma quel baule non l’hanno mai visto i Savoia?
«Non ce lo fanno neanche vedere. Ma ripeto: nessun cittadino italiano, non uno, lascerebbe che lo Stato gli sequestrasse un bene personale. E possiamo dimostrarlo. Abbiamo anche i documenti e abbiamo dimostrato che chi ha comprato e pagato per questi gioielli non è lo Stato, ma è personalmente Casa Savoia».
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La redazione